La morte di un giovane è un dramma per tutti, la famiglia innanzitutto, e poi la comunità in cui viveva. Ma se quel decesso è frutto di un atto medico, non impotente o tardivo, come può accadere per una emorragia cerebrale massiva o un tumore, bensì per una "banale" procedura chirurgica, per qualcuno anche superflua, deve far riflettere tutta la comunità medico-scientifica.
La cronaca la conoscete tutti. Ci racconta di una ragazza siciliana, di una bellezza che solo quella terra sa esprimere, appena 22enne, Agata Margaret Spada, che a causa di una imperfezione del suo naso aveva seguito uno dei tanti imbonitori (laureati in medicina però) presenti sul web, opportunamente sponsorizzati (temo non gratuitamente) da questa o da quella influencer - in questo caso il genere è certo se non obbligatorio - che propagandava a più non posso la magica "soluzione" microchirurgica (la "rivoluzionaria miniinvasività" è uno degli specchi per le allodole preferiti da chi cerca una facile clientela) e i suoi strabilianti risultati.
La naturale conseguenza di ciò è che si era passati dalla correzione di un inestetismo a una vera e propria operazione chirurgica. E tutto ciò senza sala operatoria e, quel che peggio, almeno da quello che è dato sapere, senza la presenza di una figura fondamentale per il corretto svolgimento di una rinoplastica parziale - così si chiama l'intervento a cui la povera Margaret avrebbe dovuto sottoporsi - a supporto del chirurgo e a garanzia della paziente, lo specialista in anestesia e rianimazione (mai parola fu più opportuna di questa seconda). Eggià, perché chi avrebbe dovuto dare il beneplacito all'intervento non avrebbe dovuto essere di fatto l'operatore (lì pare ce ne fossero addirittura due), ma l'anestesista.
Era lui che avrebbe dovuto leggere l'ettrocardiogramma, visionare le analisi propedeutiche, visitare la paziente. Lui avrebbe dovuto somministrare l'anestetico (con l'antiemorragico) alle dosi opportune, monitorare la paziente con le necessarie strumentazioni diagnostiche e intervenire in caso di emergenze cardiocircolatorie. Ma lui non c'era. Neanche a somministrare alla ragazza quel consenso informato, pietra miliare dei diritti del paziente e delle garanzie legali del medico e della struttura sanitaria ospitante. Ah già, non c'era neanche quella. Margaret Spada è di fatto morta per superficialità o fatalità in un anonimo e ordinario appartamento all'Eur, signorile area a sud di Roma. Che poi il decesso vero e proprio sia avvenuto in un ospedale capitolino solo qualche giorno dopo è stata una pura formalità. È in una stanza buona per consulti medici o, al più per la correzione di inestetismi del tutto minori, che si è consumato il dramma del malore, delle convulsioni, del cuore che batteva all'impazzata e della perdita di coscienza già gravida di morte. Si dice che non siano state messe in essere neanche le più banali pratiche rianimatorie, ma io a questo non credo.
Certo è che il quadro clinico deve essere apparso da subito gravissimo se è stato chiamato in tutta fretta il 118 dopo i primi concitati e (alla luce dei fatti) beffardi tentativi - puntualmente documentati dal fidanzato della vittima - di fermare l'inevitabile. Lungi da me di condannare i colleghi prima delle dovute indagini e di tutti i gradi di giudizio di un regolare processo, resta però l'insanabile dolore (e la compassione), oltre che per la defunta e la sua inconsolabile famiglia, anche per la professione medica, la suprema vittima finale del racconto, talora ridotta - non da ora, ma mai come ora - a opportunità commerciale, insana realizzatrice di sogni narcisistici e fatui.
Tutti possiamo sbagliare, qualcuno meno inconsapevolmente di altri, ma per chi fa il nostro mestiere (qualcuno ama chiamarlo con orgoglio ancora così) resta vincolante la necessità etica di guardare al paziente prima che a sé stessi, perchè tra questi c'è, in qualche indefinibile ragione, sempre una figlia come Margaret da curare e non deludere. Peccato che questa volta non vi siano (a sanare tutto) "rinascite" o pozioni di immortale bellezza, come invece accadeva nel famoso film di Robert Zemekis del 1992, "La morte ti fa bella". Almeno così Margaret ci sorriderebbe meravigliosamente ancora.