Napoli

Chi ha avuto la fortuna di essere nato a Napoli e di aver scelto di viverci, speravo - nella domenica di fine novembre che ospitava per quasi la centesima volta il derby del Sole - fosse corso in qualunque anfratto di questa splendida città (ce ne sono tanti e tutti unici) a sbirciare il mare azzurrissimo che avrebbe fatto da proscenio allo spettacolo calcistico del tardo pomeriggio.

Declinando sui soliti rimpianti per le due tifoserie quando erano ancora gemellate e sulle sfide tutte alla stessa ora della domenica pomeriggio (quando il sole ancora c'era), come in un radiofonico "Tutto il calcio minuto per minuto" d'altri tempi, vi aggiornavo sulle vittorie (largamente previste) di Inter e Atalanta, rispettivamente su un imbarazzante Verona - che aveva preso 5 gol nei primi 45 minuti e non aveva più nulla di quello della tripletta rifilata al Napoli nella prima di campionato - e su un Parma volenteroso, ma niente di più.

Della "sfida scudetto" tra Milan e Juventus avrei preferito largamente tacere, vista la bruttezza del gioco espresso e perfino della telecronaca di DAZN, tutta intesa a rimirare il nulla delle vittorie passate delle due squadre e a decantarne insulse gesta di solidità attuali. Non che il Napoli avesse finora fatto meglio di così. Del resto, come avrebbe potuto, se ad allenarlo era venuto uno che aveva reso grandi (senza incantare) i bianconeri - sia giocando con loro che guidandoli - ed era arrivato a un passo questa estate dal club rossonero (osservandone, evidentemente, lo spirito desiderato dalla sua dirigenza). Restava il fatto, che in quel "derby quasi d'Italia" - nessuno si permetterebbe di anteporlo a quello tra juventini e interisti - aveva imperato il nulla quasi assoluto.

Così tra sfide irrisorie e finte tenzoni, mi avviavo rassegnato allo stadio Maradona in un pomeriggio pungente e stellato, con le orecchie ancora piene della nostalgica voce di Enrico Ameri, a rammentarmi una passione pura ma, temo oramai, irripetibile. A dirla tutta, mi ronzavano nella testa anche le parole di Antonio Conte nella conferenza prepartita, ma ancor di più il suo atteggiamento, cupo, dimesso, annoiato, rizzelato e perfino maleducato, quando ha dovuto rispondere a una domanda di un giornalista su Alex Meret. "Spero" - mi dicevo - "non finisca come quell'Inter-Roma del 1961", quando il grande giornalista toscano intervenne con un "scusa qui è Ameri", cambiando l'ordine dei fattori (radiofonici) e sancendo di fatto la sconfitta della prima in classifica. "Ma tanto" - ho aggiunto (rincuorato) a me stesso - "primi non lo siamo più". E infatti...