Avellino

La lipoproteina (a) o Lp (a), descritta per la prima volta da Kare Berg, è costituita da una lipo-particella LDL aterogena associata a un’apoproteina (a) potenzialmente trombogena.

Già negli anni 1980 ci siamo interessati in laboratorio di questa molecola come possibile fattore di rischio cardiovascolare. La concentrazione di Lp (a) nel sangue è geneticamente determinata ed è costante per ogni persona, ma presenta una variazione individuale di uno a mille. L’aumento della sua concentrazione in circolo è legato al rischio di trombosi arteriosa nell’adulto, di stenosi valvolare aortica nell’anziano, e di malattia trombo-embolica nel soggetto giovane.

Il suo dosaggio presenta interesse nella stratificazione del rischio cardiovascolare primario e nella spiegazione di un aumentato rischio in prevenzione secondaria, in particolare nel diabete MODY, legato ad una mutazione genetica (Maturity Onset Diabetes in the Young). L’aumento di concentrazione nel sangue della Lp(a) è dunque associato ad un rischio aumentato di macro-angiopatia diabetica, concernente in particolare le coronarie, le carotidi, e le femorali. Ma è presente anche un aumentato rischio di micro-angiopatia diabetica che si esprime con la retinopatia e con la nefropatia.

L’aumento della Lp (a) circolante non viene controllato dalle comuni terapie impiegate per l’iper-colesterolemia, come ad esempio le statine. Invece un risultato soddisfacente si ottiene con gli anticorpi monoclonali diretti contro la “proprotein convertase subtilisine/kexine type 9 (PCSK9). Si tratta di evolocumab e di alicocumab, molecole già da tempo impiegate nei nostri ambulatori per il controllo delle dislipidemie familiari resistenti alle statine, nell’intolleranza alle statine stesse, ed in ultima analisi nei casi di aumento delle concentrazioni di Lp (a).

L'autore dell'articolo è medico endocrinologo