Il mercato della droga in carcere si è evoluto: tra pastiglie di farmaci tritati o sniffati (l'orudis 200, il contramal, lo stinox, il lentomil - che vengono date per terapia – per citarne alcuni e persino la tachipirina), cerotti alla morfina, francobolli con colla ricavata da stupefacenti, spaccio e consumo hanno subito cambiamenti notevoli che il personale penitenziario non è certo in grado di cogliere e tanto meno contrastare.

Così Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato polizia penitenziaria che aggiunge: il primo fattore che determina la più larga diffusione di stupefacenti di sempre è l’aumento esponenziale dei detenuti tossicodipendenti. È da record la percentuale di persone con tossicodipendenza entrate in carcere nel 2023 sul totale degli ingressi. A livello nazionale, secondo quanto riferisce la relazione annuale al Parlamento del 2024 che esamina lo stato delle tossicodipendenze in carcere, sono state 15.492 le persone tossicodipendenti entrate in carcere, pari al 38% degli ingressi totali (40.661), in aumento rispetto al 29,9% del 2022, causati in buona parte dall’art. 73 del Testo Unico, ovvero «detenzione a fini di spaccio».

A livello regionale, questo valore scende sotto il 20% negli istituti penitenziari delle regioni Friuli Venezia Giulia, Calabria e nella provincia di Trento ed è superiore al 50% negli istituti della regione Lombardia e della provincia di Bolzano. Perciò – evidenzia Di Giacomo – di fronte di una domanda più forte, la criminalità si ingegna per far entrare nei modi più “fantasiosi” e non solo in alimenti e abbigliamento sostanze di ogni tipo ben occultate. Ma non per tutti i detenuti l’“approvvigionamento” di droga è complicato: i boss e quanti dispongono di aiuti all’esterno sono privilegiati e usano le droghe per ricattare i detenuti “poveri Cristi”, in tanti casi utilizzati come manodopera per “affari sporchi” in carcere e persino per atti sessuali.

Una situazione che ha superato ogni limite al punto che alcuni istituti per “traffico” superano persino le piazze di spaccio di grandi città.

Per Di Giacomo inoltre la proposta del Ministro Nordio di coinvolgere il mondo delle comunità per ridurre il sovraffollamento degli istituti penitenziari, per quanto riguarda i detenuti che devono scontare gli arresti domiciliari ma non hanno un proprio domicilio e in particolare quelli tossicodipendenti, non può avere alcun effetto tenuto conto che sinora i detenuti tossicodipendenti affidati a comunità sono poche centinaia e non possono essere più numerosi.

Dunque non basta prendere atto di questa realtà che invece si vorrebbe rimuovere: è necessario un piano straordinario mettendo in campo innanzitutto personale medico e paramedico specializzato, psicologi, senza scaricare tutto sugli agenti penitenziari.