Sarà inaugurata presso il Museo Arcos di Benevento sabato 19 ottobre 2024, alle ore 11,00 la mostra Salvatore Lovaglio. Paesaggi inimmaginabili, promossa dalla Provincia di Benevento, dal Museo Arcos in collaborazione con il Museo-FRaC Baronissi e curata da
Ferdinando Creta e Massimo Bignardi.
“L’importanza storica dell’opera artistica di Salvatore Lovaglio – rileva Toni Toniato presentando i lavori che l’artista espone nel 2001 –, è stata anche di recente autorevolmente certificata dalla critica più attenta, proprio in occasione, in questi anni, di due avvenimenti di particolare valore riferibili alla sua magistrale mostra di grandi dipinti, tenuta alla Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate e al mirabile monumento scultoreo da lui realizzato e dedicato alla città di Lucera, dove l’artista vive”. Sono le figure ansiose dei primissimi anni Ottanta, ad aprire quel percorso espositivo ma che “frantumate nella forma e nella materia cromatica, isolate e senza volto, osservava Emma Zanella sul finire degli anni Novanta, “scompaiono a poco a poco come risucchiate in spazi aperti la cui materia pittorica, da sola, trasmette e l’irrequietezza umana e la forza panica della natura”. Ciò evidenzia quel rapporto che Lovaglio ha con la realtà, costruendo simmetrie ed equilibri, ossia un esercizio necessario per comprendere il mondo che sta di fronte e con esso i sensi di mistero che s’appropria delle forme, sospese davanti agli occhi come parvenze indecifrabili. Esercizio che non nasconde, però, dell’inquietudine che animano i suoi dipinti di fine anni Ottanta e già rivolti allo studio del paesaggio irreparabile dei suoi dipinti, una inquietudine, per dirla con le parole di Franco Solmi, che ha bisogno di spazi sempre più ampi per dilatarsi e per dichiararsi nei modi specifici della pittura. “La grande –rileva quest’ultimo – dimensione è congeniale a Lovaglio ed è facile accorgersi di quale sapienza e di quale finezza si intessono queste esplosioni cromatiche che una forza misteriosa trattiene in vertigine, quasi come un magma di terra, erbe, lave che sia minacciato da interni sussulti”.
Grandi tele dedicate al paesaggio, fondamentalmente quello della sua terra, che ora sono allineate sulle pareti del Museo Arcos, disegnando un percorso espositivo che si offre quale narrazione che l’artista propone alla nostra attenzione: paesaggio e non paesaggi, in quanto non dato percettivo, bensì luogo nascosto dell’ essere.
“Tra acqua, terra e cielo – rilevava Carl Gustav Carus, parlando del paesaggio – si leva poi con illimitata varietà il mondo vegetale, e anche in questo caso il sentimento si accorda alle condizioni di vita, al senso di questi elementi, cosicché la fitta e intricata vegetazione di una vallata suscita immediatamente il sentimento della vita che sboccia rigogliosa...”
L’artista di Lucera si muove su questa traccia, indelebile impronta che si offre come studio, osservazione, rilievo di una profonda geologia dell’essere, lacerazione e consunzione ma anche sintesi della concretezza fisica del segno in rapporto al colore. Lovaglio assapora il respiro della materia con la libertà di concentrare sulla superficie un grumo oppure di alleggerire le forme con gesti veloci ed intuitivi. Comunque avvenga questo rapporto con la natura, è importante che non sia prevedibile ma possa conservare il senso di un’apparizione sempre mutevole, come se la memoria raccogliesse impressioni del veduto attraverso improvvisi accenni cromatici, qualche accensione di
rosso, macchie di blu, minime sensazioni ai giallo. In altri casi, la sollecitazioni è sentita dentro gli umori di spessori terrestri concepii sulla superficie come riflessi del sottosuolo, vibrazioni sommesse che trapelano dall’interno della materia. Lovaglio una rinuncia al racconto e alla rappresentazione e un’adesione spontanea alla soglia dell’immagine, così che il paesaggio non e più rappresentabile ma diventa luogo dello sprofondamento inferiore, condizione sospesa tra visibile e invisibile. Non a caso l’intenzione di questa mostra, nel suo taglio antologico non esaustivo, e quello di sottolineare l’aspetto più evocativo del lavoro di Lovaglio, quello certamente più intenso e
ossessivo, giocato sull’estrema percezione della materia-luce, depositata nel grembo dell’immagine.
Lo sguardo vola alto verso quell’orizzonte privo di limiti, costituito solo dalla diafana consistenza di una sottile atmosfera di luce che si ribalta nei rivoli anneriti di una terra bruciata. Ed ecco l’inquietudine irreparabile dei suoi dipinti, una inquietudine che ha bisogno di spazi sempre più ampi per dilatarsi e per dichiararsi nei modi specifici della pittura. La grande dimensione è congeniale a Lovaglio ed è facile accorgersi di quale sapienza e di quale finezza si intessono queste esplosioni cromatiche che una forza misteriosa trattiene in vertigine, quasi come un magma di terra, erbe, lave che sia minacciato da interni sussulti.
“Mette un orecchio alla natura” si legge in uno dei più noti aforismi di Fausto Melotti, “sente l’erba che cresce, il fruscio delle nuvole, il telaio del ragno, gli utensili delle formiche, il fischio del tempo che passa”. È, questa, l’armonia che sospende lo sguardo dell’artista sul paesaggio della sua terra. La mostra resterà aperta fino a domenica 30 giugno.
A Benevento i Paesaggi inimmaginabili di Salvatore Lovaglio
Sabato 19 taglio del nastro per l'esposizione ad Arcos
Mariateresa De Lucia