Napoli

"Siamo all’ennesimo caso che dalle celle comandano ancora e sempre loro, i clan e le organizzazioni criminali".

Così il segretario generale del sindacato polizia penitenziaria  Aldo Di Giacomo sulla vicenda del giovane boss, sottolineando che con l’ampia diffusione di telefonini, anche di ultimissima generazione e tecnologici, le minacce, le estorsioni come gli ordini agli uomini dei clan sui territori e persino di omicidi sono di ordinaria amministrazione. L’effetto immediato è quello di incutere paura e al tempo stesso di scoraggiare la collaborazione con magistrati e forze dell’ordine.

È da tempo che denunciamo che nel carcere con i sempre più numerosi telefonini in circolazione non si girano solo creativi filmati per tiktok e non solo creativi come è accaduto per lo stesso giovanissimo boss ma si continua a comandare clan e affiliati per qualsiasi forma di crimine.

È il caso di ricordare a chi nell’Amministrazione Penitenziaria ha la memoria corta - afferma Di Giacomo - i numerosi casi scoperti negli ultimi mesi, persino di summit di mafia comodamente dalle celle via Skype, videochiamate per impartire ordini nei mandamenti, richieste estorsive, minacce per ritirare denunce. Se non fosse per l’incessante opera del personale penitenziario i rifornimenti di telefonini soprattutto con l’impiego di droni trasformerebbero gli istituti in centrali telefoniche e supermarket della telefonia mobile.

Solo l’amministrazione penitenziaria, il parlamento, la politica non se ne accorgono non affrontando radicalmente la situazione e accogliendo la nostra proposta di inasprimento delle pene per i detenuti trovati in possesso di telefonini, senza possibilità di concedere alcun tipo di beneficio.

La prima conseguenza di tutto questo è la forte riduzione di collaborazione con inquirenti e magistrati: scoraggiati da questo andazzo in poco tempo appena il 7-8% è disponibile alla denuncia di estorsioni e crimini. Mettiamoci semplicemente nei panni di chi ha subito l’uccisione di una figlia, una violenza, una rapina che riceve telefonate di minaccia per rendersi conto del sentimento di forte indignazione e più che legittima rabbia che serpeggia. È il segno più degradante del “buonismo” diffuso nei confronti dei detenuti e contemporaneamente dell’impotenza dell’amministrazione penitenziaria”