Per spiegare cos'è oggi il Napoli e dove io immagino che possa arrivare occorre fare (ancora) un passo indietro. Non credo di poter essere smentito se dico che il terzo scudetto azzurro è stato vinto per quasi esclusivo merito di quel signore, rigoroso fino alla paranoia e folle fino al rigore eremitico, che risponde al nome di Luciano Spalletti: un padre per i suoi ragazzi, molti dei quali appena arrivati alle pendici del Vesuvio. Quello che aveva fatto nel suo primo anno a Napoli era stato un assaggio, un antipasto del piatto forte che si sarebbe gustato invece pienamente solo l'anno successivo. Ma per farlo il condottiero-contadino aveva avuto bisogno di "dar via" una Panda e gli agi di un hotel a 5 stelle superior, isolarsi dalle esultanze e dalle (per lo più) sterili polemiche della piazza, emarginarsi perfino dagli incontri, anche casuali, con il suo presidente (con il quale una piena sintonia peraltro non c'era).
A chi oggi dice che Antonio Conte paga il prezzo di dover inserire nell'ossatura del Napoli vittorioso che fu (e indegno che è stato) elementi e idee nuove, ricordo che quello del secondo anno partenopeo del tecnico di Certaldo aveva appena perso i cinque calciatori più forti e rappresentativi della rosa e vinse a mani basse, mettendosi praticamente a folle per quasi tutto il girone di ritorno. Una giustificazione al mister salentino, però, gliela concedo, perfino io.
Conoscere Napoli e i napoletani è un lavoro complesso, talora faticoso e non sempre privo di intoppi o battute d'arresto. Napoli non la si ama se (un po') non la si odia. Credo che l'illuminata consapevolezza di ciò abbia trasformato Luciano Spalletti da un tecnico ordinario a uno straordinario (e immortale) per quella squadra e per questa terra.
Antonio Conte deve ancora impararlo o - come l'ultima conferenza stampa post-Como suggerisce - sta appena cominciando a farlo. Fino ad ora ha parlato e agito più da ex juventino che da napoletano, tutto preso e compreso da quel pragmatismo finalizzato al risultato, da quella cultura del lavoro che - talvolta, neanche sempre - porta al successo ma non alla leggenda. Ma negli ultimi giorni qualcosa è cambiato. Sarà il primo posto, sarà l'aver ritrovato tracce di meridionalità nel suo cuore indurito dalla lunga frequentazione dei popoli del nord, sarà il contagio di un azzurro che rende tutti più sirene che squali, certo è che le parole del tecnico leccese si stanno addolcendo e sembra cominciare a capire. Starà a lui trovare la strada, non necessariamente per la vittoria - e chi gliela chiede - ma per "la grande bellezza" proprio sì.