di Carmen Addonizio*
Quando i grandi della Terra giungono in questa terra, in molti si chiedono il perché. Come mai una piccola cittadina, quasi sconosciuta, sia per tre giorni al centro dei riflettori del mondo. Di un G7, addirittura! Cosa avrà mai questa Mirabella di tanto “mirabile” e che tanto vale la pena di guardare? Chi vive in questi luoghi, troverà la risposta da sé, chi pensa che fama sia sinonimo di grandezza, invece, farà un po’ più fatica a comprendere.
Ci sono posti che vale la pena tenersi stretti e questo il genio umano lo ha sempre intuito. Mirabella, magari, non sarà l’Eldorado del futuro, ma possiede uno scrigno nel quale è custodita una grande identità, fiera dei propri valori e delle proprie origini. Questo scrigno, dal valore inestimabile, trova il suo habitat nella natura in cui è immerso, nella storia che lo rende immortale, nell’arte che lo fa sublime.
Qui si vive una quotidianità semplice, assorta in una natura dall’essenza incontaminata, spesso selvaggia, che si prende i suoi spazi quando vuole e glielo si lascia fare. Qui il sole ruota sereno e nei pomeriggi d’estate, quando alla “controra” colpisce intrepido come uno spadaccino, la gente trova ristoro nelle dimore, dove nient’altro sembra possa accadere. Tra le colline dal giallo grano al verde dei frutti ancora acerbi, spicca il bianco dei ciottoli argentati di un fiume, il Calore, che lento e deciso solca la via al mare. Nelle mezze stagioni, aliti di vento, petali e foglie volanti si insinuano negli usci delle case, tra i capelli e sotto i passi bagnati dalla pioggia. Nessuno cerca altro che quel ciclo ininterrotto di vita, normalmente sconvolgente.
La gente lo percepisce perché in sé rivede la medesima natura. Gli occhi della neve, il sapore delle castagne fumanti, di funghi e di terra o di quell’erbetta nel sugo e sulle tavole, pungente ma allo stesso tempo dolcemente aromatica, chiamata “pulieio”. Tra le mani, il mosto si fa vino inebriante, calice unico per peculiarità, prezioso nettare da esportare. Allo stesso modo, l’ulivo instancabile produce i suoi frutti nel colore che l’oro e lo smeraldo riservano ai loro re. Qui il tempo lascia sbiadire, ma non cancellare le consuetudini, incise nella pietra arida o nella terra feconda, come si fa con la piccozza o con l’aratro. Mentre il giogo di ruoli registra ancora una volta il passaggio del testimone di vecchi antenati, intenti nei loro giorni.
Quando umili contadini chinavano il capo a signori portentosi a cavallo, i quali a loro volta cedevano il passo a donne agghindate di trecce e lunghe tuniche di lino, nella terra che un tempo fu Aeclanum. Era qui che soldati con elmi e riflessi di scudi in bella mostra, ponevano il loro piede di conquista, la pietra epocale della Via Appia, “Regina delle strade”, pensando che su questa terra, così florida e feconda, valesse la pena passarci qualche vita in più. Tutto ciò ha lasciato il segno nella civiltà, dove gli antichi romani avanzavano orgogliosi la gloria imperiale. In questo luogo, maestri artigiani hanno tessuto e tessono tuttora sogni di paglia divenuti realtà, divenuti Carro, pregando nelle chiese che furono già dei loro avi, la Madonna Addolorata piangere il proprio figlio, confortati dal suo dolore. Quegli stessi intrecci oggi diventano la strada di chi arriva da lontano e di chi lontano è dovuto andare, per la necessaria volontà di inseguire la propria fortuna, non senza dolore nel cuore.
E così, Mirabella ha perduto molti dei suoi cittadini, spopolato le vie che un tempo brulicavano di vita. Chi torna, però, anche solo per un giorno, si riprende il posto lasciato, le proprie origini, la boccata d’aria che nutre corpo ed anima, per ricongiungersi con se stesso, attraverso i veri valori che questa terra sa offrire. Perché nei posti in cui si è stati felici si ritorna sempre. Magari anche questo G7, forse solo con la memoria, tornerà a ripercorrere questi luoghi. Siamo stati internazionali per diverse ore e questo emoziona ed inorgoglisce ognuno di noi, ma il vero orgoglio sta nella certezza di aver donato tutta la pura spontaneità di questa terra, non un grammo in meno, ed un ricordo sincero di calore ed accoglienza.
Ecco perché l’Irpinia, ecco perché Mirabella.
*Professoressa di Mirabella Eclano