Napoli

“I residui di plastica, che sia plastica convenzionale non biodegradabile come il polietilene, il polipropilene, o le plastiche biodegradabili, rilasciano frammenti di microplastiche nei suoli che poi vanno ad influire sulla salute del terreno e potenzialmente anche sulla fertilità in agricoltura”. 

È quanto emerge dal progetto Horizon H2020 finanziato dalla Commissione europea “Papillons” - Plastic in Agricultural Production, in Lifecycle and long term sustainability, presentato oggi a Napoli al Forum internazionale Polieco sull’economia dei rifiuti da Luca Nizzetto, ricercatore dell'Istituto Norvegese per le ricerche sull'acqua (Niva), e dal suo team. 

Il progetto della durata di 48 mesi terminerà a maggio 2025 e vi partecipano 20 partner di 12 nazioni (Italia, Norvegia, Finlandia, Germania, Spagna, Grecia, Belgio, Repubblica Ceca, Olanda, Slovenia, Polonia, Cina

L’obiettivo è colmare le lacune di conoscenza circa le fonti, il comportamento e gli impatti a lungo termine sui suoli agricoli dovuti alle micro e nanoplastiche che si originano a seguito dell’uso di numerosi e vari manufatti plastici agricoli; un modo per costruire il background scientifico per consentire l'innovazione politica, agricola e industriale verso sistemi di produzione agricola sostenibili. 

“Prima c'era, nell'opinione pubblica – sostiene Nizzetto - l'immagine che la plastica biodegradabile si degradava nell'ambiente, quindi non inquinata, mentre invece alla fine da questo studio è emerso esattamente ciò che avviene per una plastica tradizionale”.

Ma con una differenza sostanziale, perché le plastiche bio hanno un vantaggio rispetto a quelle degradabili e per questo non vanno demonizzate. “La vera differenza – evidenzia Nizzetto - è che le microplastiche originate da plastiche non degradabili rimangono nel suolo per sempre, quelle delle plastiche biodegradabili vi restano in maniera transitoria, per cui col tempo questa contaminazione ambientale si risolve.

Il discorso è quanto tempo occorre perché questo avvenga. Le evidenze scientifiche che stiamo raccogliendo mostrano che la degradabilità varia a seconda dell'ambiente in maniera estrema”.
“E’ un discorso di economia agricola, ma anche, e questa è una tesi che è in corso di studio, di salute del cibo” aggiunge Nizzetto. 

“La microplastica- spiega Nizzetto - indipendentemente dalla sua composizione chimica, è un materiale avulso all'ambiente agricolo e la sua presenza fisica altera comunque alcune proprietà fondamentali del suolo, come la porosità, la capacità del suolo di ritenere acqua, tutti elementi fondamentali che definiscono la capacità di un terreno di produrre cibo, di far crescere piante, di consentire alla fauna, come i vermi che sono attori fondamentali e ingegneri ambientali, di garantire la funzionalità e la salute del suolo.

Al contatto con questi frammenti plastici, questi attori non funzionano più come farebbero in un ambiente naturale”. 

Quindi anche le plastiche bio, come quelle tradizionali, secondo lo studio Papillons, vanno subito rimosse dal suolo e inviate agli impianti appena si esaurisce la loro funzione. “Ovviamente la rimozione e il trasporto, aggiungono dei costi per gli agricoltori a meno che non si trovino altre misure.

Un'altra possibilità è un utilizzo più ponderato di questi materiali, cioè utilizzarli in maniera tale che non risulti in un continuo accumulo di residui, prevedendo per esempio periodi di pausa per il suolo per recuperare”.