L'uso della televisione di Stato come strumento politico, come avvenuto con la recente trasmissione del monologo di Matteo Salvini sul processo Open Arms su Rainews, rappresenta un allarmante caso di manipolazione mediatica. In una democrazia, il ruolo del servizio pubblico dovrebbe essere quello di informare in modo equilibrato e trasparente, garantendo a tutte le voci politiche uno spazio equo e, soprattutto, preservando il diritto dei cittadini a ricevere un'informazione completa, non viziata da favoritismi politici. Tuttavia, gli episodi come quello verificatosi di recente mettono in luce una tendenza inquietante: la progressiva perdita di imparzialità del servizio pubblico, asservito sempre più agli interessi della maggioranza governativa.
Paolo Petrecca, direttore di Rainews, è già stato criticato in passato per decisioni editoriali discutibili, come la trasmissione integrale dei comizi della maggioranza in occasione delle comunali di Catania. Ora, il ripetersi di casi simili – dalla lunga copertura dell'intervista all'ex ministro Gennaro Sangiuliano addirittura in prima serata sul TG1, e poi l'autoassoluzione nel programma "Cinque minuti" dell'ex governatore della Liguria Giovanni Toti (che ha patteggiato una pena a due anni e due mesi di reclusione) – mette in evidenza come il concetto di servizio pubblico stia perdendo il suo valore originale. Invece di rappresentare una piattaforma imparziale di informazione, Rainews sembra diventare sempre più un megafono per la propaganda di governo, come sottolineato anche dal comitato di redazione della testata.
Il malessere è palpabile all'interno della stessa redazione giornalistica. L'indignazione del Cdr di Rainews è più che giustificata: l’aver mandato in onda il monologo di Salvini senza alcuna mediazione o contraddittorio è una chiara violazione dei principi base del giornalismo. Chi ha autorizzato questa scelta, come chiedono i giornalisti? Dove sono finite l’etica professionale e la deontologia del mestiere? Domande che meritano risposte concrete, e che chiamano direttamente in causa non solo la direzione della testata, ma anche l’intero sistema politico che sembra aver messo la Rai sotto sequestro.
Il Partito Democratico ha subito colto l’occasione per denunciare ancora una volta quello che viene percepito come "asservimento del servizio pubblico alla maggioranza", un'accusa che purtroppo trova sempre più riscontri nei fatti. Anche Agcom è stata chiamata in causa, in un tentativo di porre fine a questo declino che, se non affrontato con serietà, rischia di trasformare la Rai in un braccio mediatico della politica, anziché in una voce autonoma e indipendente, com'è nelle intenzioni di una democrazia matura.
La risposta della Lega non si è fatta attendere, e come spesso accade, ha scatenato ulteriori polemiche. Invece di affrontare nel merito le critiche, si è preferito accusare il sindacato dei giornalisti di "militanza di sinistra" e di promuovere una "censura". Ma la verità è ben diversa: qui non si tratta di censura, ma di chiedere a gran voce che il servizio pubblico rispetti il proprio mandato istituzionale. I giornalisti di Rainews non stanno facendo altro che difendere la dignità della loro professione e della televisione pubblica, una televisione che dovrebbe garantire un'informazione pluralista e trasparente, non subordinata ai dettami di una parte politica.
Ci troviamo davanti a un bivio cruciale per il futuro della Rai e, più in generale, per la qualità dell'informazione nel nostro Paese. Lasciare che episodi come questo passino sotto silenzio, significa accettare una deriva pericolosa. È ora che il mondo politico comprenda l'importanza di un servizio pubblico libero da pressioni, che rispetti la pluralità delle opinioni e che dia spazio non solo ai monologhi, ma anche ai contraddittori, offrendo così ai cittadini un'informazione veramente completa e non faziosa. Il rischio altrimenti è quello di compromettere non solo la credibilità della Rai, ma la stessa qualità della nostra democrazia.