Benevento

Sono trascorsi oltre sedici anni, ma il mistero rimane fitto. E nessuno sa perchè, e da chi, sia stato ucciso Biagio Di Meo, 38 anni, di Faicchio, un artigiano ammazzato con un colpo di pistola e poi gettato nel Volturno, dalle cui acque era stato recuperato il 13 maggio 2008. Uno dei casi irrisolti nella nostra provincia, che dal punto di vista giudiziario aveva fatto registrare l'ultima decisione alla fine del 2020. Quando il gip Gelsomina Palmieri, dopo aver disposto altri sei mesi di attività investigativa, ha decretato l'archiviazione, così come aveva chiesto la Procura, per l'assenza di nuovi elementi rispetto a quelli già cristallizzati rispetto all'arma e ad alcune deposizioni raccolte all'epoca.

Come per gli altri omicidi ancora rimasti senza una soluzione, ripercorriamo i fatti così come sono stati fin qui ricostruiti. La mattina del 7 aprile del 2008 - un lunedì - Biagio Di Meo era uscito di casa e con il suo Nissan aveva raggiunto la già ricordata seconda abitazione in via Cortesano. Un cliente gli aveva commissionato un lavoro, doveva piallare alcune tavole di legno. Aveva però dimenticato un attrezzo assolutamente indispensabile, per questo aveva inviato un sms alla sua convivente, all’epoca in stato di gravidanza, per chiederle la cortesia di portarglielo. L’orologio segnava all’incirca un quarto d’ora dopo le 8.

La donna era arrivata un’ora più tardi ma lui non c'era. Aveva pensato che si fosse spostato da qualche altra parte, che avesse avuto un impegno improvviso. Il fuoristrada era fermo nei pressi dello stabile, con le chiavi inserite nel cruscotto. La speranza di vederlo rientrare si era infranta in serata. Biagio non era rincasato, non era da lui allontanarsi senza avvertire chi gli stava vicino. Ecco perchè la sorella e la compagna, comprensibilmente preoccupate, avevano dato l'allarme alla polizia. Sopralluoghi, rilievi, l'immediato avvio delle ricerche. Erano state condotte in un'area molto vasta, senza risultato. Cellulare muto, nessuna traccia. Della sua sparizione si era occupata anche la trasmissione Rai 'Chi l'ha visto?', con un servizio andato in onda il 5 maggio.

Numerose le segnalazioni giunte in quelle settimane, in tanti avevano telefonato perchè convinti di aver individuato l’uomo che nessuno aveva più visto. Indicazioni che non avevano però dato i riscontri necessari. Il mistero si era fatto fittissimo, era stato alimentato per trentotto giorni. Fino alla terribile scoperta del corpo senza vita. Ad una quindicina di chilometri da Faicchio. L'aveva compiuta un agente della polizia stradale, in servizio a Caianello. Stava pescando sulle sponde del Volturno, in un tratto di trecento metri, abbastanza profondo, che bagna la località Selvapiana di Alvignano, in provincia di Caserta, quando la sua attenzione era stata richiamata dalla presenza nell'acqua di un cadavere rimasto impigliato in alcuni arbusti.

Sulle prime si era pensato ad un imprenditore di Alife, poi gli indumenti avevano restituito una tragica realtà. Quell'uomo era Biagio Di Meo. Indossava il pantalone di velluto, il maglione a righe di colore rosso scuro e gli stivaletti calzati il giorno in cui era sparito nel nulla. E, poi, l’anello, la collanina ed alcuni braccialetti che portava sempre.

Dall’autopsia che il sostituto procuratore Marcella Pizzillo aveva affidato al professore Fernando Panarese era saltato fuori che il 38enne era stato ucciso con un colpo di pistola esploso dall'alto verso il basso, calibro 9. Un solo colpo alla fossa giugulare, vicino alla clavicola, che gli aveva reciso i vasi polmonari. Il corpo era stato poi zavorrato da una pietra, legata ad una corda stretta all'altezza dei fianchi, e lanciato nell’acqua. Da almeno due persone.

Tanti i dubbi, ad iniziare dal luogo del delitto. Nessun elemento utile nel fuoristrada, nessun segno di colluttazione all'interno ed all'esterno dell'abitazione di via Cortesano. Possibile, dunque, che la vittima conoscesse i suoi assassini. Nel mirino una Punto che sarebbe stata vista transitare nella zona, nessun risultato, però, dal lavoro degli investigatori, andato avanti per anni. Nel 2019 la sorella della vittima, assistita dall'avvocato Danilo Riccio, si era opposta all'archiviazione proposta dalla Procura. Da qui la camera di consiglio, gli ulteriori sei mesi ordinati dal gip Palmieri, costellati anche da un sopralluogo nella casa di via Cortesano, e, infine, l'archiviazione.