Avellino

In Campania la provincia di Avellino è stata quella con il maggior calo percentuale di imprese artigiane iscritte, si è passati dalle 9.035 del 2012 alle 7.037 del 2023, registrando un meno 22,1% pari a un decremento netto di 1.998 imprese perse lungo il tragitto. Segue Caserta con un meno 21,7% tallonata dalla provincia di Benevento che con una perdita netta di 1.255 imprese artigiane nel decennio è passata dalle 6.034 alle 4.779 con un decremento pari al 20,8%. Decisamente meglio per le altre due province campane:
Salerno registra un -16,7%, mentre Napoli va addirittura sul podio, è seconda in Italia dopo Bolzano con appena un decremento del 7.9%.
“Il tema del calo drastico delle imprese artigiane – interviene il presidente Unimpresa Irpinia Sannio Ignazio Catauro – anche nelle nostre province di Avellino e Benevento, rappresenta un grave campanello di allarme per l’intero comparto produttivo delle aree interne della Campania. Con un calo medio nell’ultimo decennio di circa il 22% il settore è decisamente quello che più ha registrato la performance peggiore tra i settori non agricoli”.

È da evidenziare che se questa tendenza non verrà invertita, entro una decina d’anni sarà molto difficile trovare un elettricista, un fabbro, un idraulico o un serramentista in grado di eseguire un intervento di riparazione o di manutenzione. I dati dell’INPS e di Infocamere/Movimprese non lasciano spazio a dubbi, anche perché il numero delle aziende artigiane attive è in forte diminuzione. I numeri parlano chiaro: “nel 2008 (anno in cui si è toccato il picco massimo di questo inizio di secolo), in Italia le imprese artigiane
erano pari a 1.486.559 unità, successivamente sono scese costantemente e nel 2023 si sono fermate a quota 1.258.079”.

Dobbiamo precisare – ci ricorda Catauro di Unimpresa - comunque che questa la riduzione è anche dovuta ad un processo di aggregazioni e acquisizioni che in alcuni settori, dopo le grandi crisi de 2008/2009, 2012/2013 e 2020/2021, hanno segnato una inevitabile accelerazione. Purtroppo, il processo di aggregazione aziendale ha fatto diminuire inevitabilmente la platea stessa degli artigiani. Dall’altra – sottolinea il presidente Catauro – purtuttavia questo processo ha consentito di accrescere la dimensione media delle imprese, aumentando produttività e stabilità economica e produttiva”.
Sul tema interviene anche CGIA di Mestre che ci fa notare come oramai gli avvocati sono più degli idraulici: “Negli ultimi decenni tante professioni ad alta intensità manuale hanno subito una svalutazione culturale che ha allontanato molti ragazzi dal mondo dell’artigianato. Il tratto del profondo cambiamento avvenuto, ad esempio, è riscontrabile dal risultato che emerge dalla comparazione tra il numero di avvocati e di idraulici presenti nel nostro Paese: se i primi sfiorano le 237mila unità, si stima che i secondi siano solo
180mila”.
L’effetto nella contrazione del numero di Artigiani e “Bottegai” in genere si può notare
anche a occhio nudo, basta girare nei centri urbani di città e piccoli paesi per rendersene
conto. Inevitabilmente, una delle conseguenze più evidenti è il cambiamento in atto del
paesaggio urbano.
Sulla questione interviene il professore Ignazio Catauro di Unimpresa Irpinia Sannio: “Non
dimentichiamo che l’artigiano ed il commerciante con la propria bottega svolge anche un
ruolo sociale, gli artigiani e i commercianti costituiscono una fonte di attrazione per gli
abitanti del luogo e delle zone circostanti. Dobbiamo evidenziare che le cosiddette
botteghe artigiane e commerciali hanno sempre svolto una funzione sociale insostituibile,
e se il trend negativo ricordato persiste è inevitabile che gli effetti sui nostri centri urbani
saranno decisamente deleteri”.
È quasi una chimera incrociare attività storiche del tipo di calzolai, corniciai, fabbri,
falegnami, fotografi, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e Tv, sarti,
tappezzieri, ecc. Tutte attività, generalmente a conduzione familiare, e che hanno fatto la
storia economica di tutto il territorio italiano, nessuna regione esclusa. Meno botteghe e
meno negozi di vicinato, significa anche la diminuzione di quei luoghi di socializzazione a
dimensione umana che tanto hanno influenzato anche il carattere urbanistico ed
architettonico delle nostre città e paesi.
È sotto gli occhi di tutti – evidenzia Catauro – non si riesce più a trovare giovani disposti a
fare lavori che una volta comunque avevano un minimo di appeal. Quasi impossibile per le
imprese di trasporto trovare un conducente italiano, gli autisti rappresentano una vera e
propria chimera. Per non parlare di idraulici, elettricisti, manutentori delle caldaie, tornitori,
fresatori, pasticceri, i fornai, e tanti altri”.
La Federazione Unimpresa Edili attraverso uno studio dedicato aveva già l’anno scorso
lanciato l’allarme, e sottolineato come nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire
carpentieri, posatori e lattonieri.
“I motivi della crisi che interessa il comparto – ricorda Catauro – dipendono principalmente
da un errato approccio culturale al valore che si attribuisce al lavoro manuale. Negli ultimi
decenni il lavoro artigianale è stato visto, sbagliando, come quel mondo del lavoro

comunque destinato ad un inevitabile declino. Oggi abbiamo tutti la consapevolezza della
necessità di queste professioni e dunque, anche se in ritardo si dovrà provvede ad un
processo di riorientamento scolastico efficace. Gli istituti professionali devono ritornare ad
essere centrali così come lo sono stati in passato nel favorire lo sviluppo economico dei
nostri territori”.
Alla base di tutto, comunque, più studi ed interventi sul tema concordano sul fatto che
rimarrà comunque il “saper fare” il vero motore della nostra eccellenza manifatturiera. Più
in generale, comunque, l’artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della
tecnologia per rilanciare anche i “vecchi saperi”.