Avellino

Nel cuore del Pronto Soccorso dell’Ospedale Moscati di Avellino si consuma una tragedia silenziosa, fatta di attese interminabili e sofferenze invisibili. Una paziente di 85 anni, giunta in codice rosso a seguito di un grave trauma facciale, ha dovuto attendere oltre 99 ore per un ricovero. Non è un caso isolato: altri anziani, in codice arancione, hanno atteso fino a 80 ore. Le stanze d’emergenza del nosocomio, dirette dal dottor Antonio Maffei, sembrano essere diventate un vero e proprio lazzaretto moderno, dove la dignità umana viene messa a dura prova.

Ogni giorno si ripete lo stesso scenario. I numeri parlano da soli: già alle 11 del mattino, erano 60 i pazienti presenti, di cui 53 già presi in carico, mentre gli altri attendevano fuori, in coda. La maggior parte di loro è composta da soggetti fragili, affetti da patologie cardiache e respiratorie. Con il passare delle ore, il numero cresce, trasformando il reparto in un inferno dantesco.

L'arrivo di agosto ha acuito una situazione già critica, aggravata dalle ondate di calore che hanno colpito l'intera regione. Ma non è solo il caldo ad aver messo in ginocchio il pronto soccorso: la chiusura del Centro Trasfusionale dell’azienda ospedaliera, dal 1° agosto al 31, ha costretto i pazienti con malattie ematologiche croniche a rivolgersi al pronto soccorso per le trasfusioni programmate, aumentando ulteriormente il sovraffollamento.

Le denunce arrivano dai familiari dei pazienti, costretti a portare i propri cari in un pronto soccorso già al collasso. «Abbiamo dovuto portarlo lì - esclamano esasperati - perché non può fare a meno dei due cicli settimanali di trasfusione. Ma la situazione è insostenibile». E mentre l'Unità diretta da Silvestro Volpe va in ferie, i suoi pazienti si riversano in un reparto già sull'orlo del collasso, portando la situazione al limite del sostenibile.

Il personale sanitario è allo stremo.

Medici, infermieri e OSS lottano ogni giorno per garantire un'assistenza dignitosa, ma la realtà è che si trovano a fronteggiare un numero di richieste che va ben oltre le loro possibilità. Gli spazi sono insufficienti: sedie e barelle occupano i corridoi, diventando postazioni di fortuna. Chi riesce ad avere un letto nella sala d’osservazione condivide le sofferenze con i vicini, in un dramma collettivo che non sembra avere fine.

Il sovraffollamento del pronto soccorso del Moscati non è una novità, specialmente durante l'estate. È una realtà che i cittadini conoscono bene, avendola vissuta sulla propria pelle o attraverso le esperienze dei propri cari. Eppure, la situazione sembra peggiorare di anno in anno, senza che vi sia una soluzione all'orizzonte.

La direzione sanitaria del Moscati è ben consapevole dello stato di emergenza. A luglio è stata indetta una gara d'appalto per ampliare la superficie del reparto e rimodularne i percorsi assistenziali, ma ciò che manca è un vero e proprio Piano di gestione per il sovraffollamento. I sindacati di categoria lo chiedono a gran voce, ma intanto la crisi continua a mordere, lasciando operatori e pazienti a navigare a vista in un mare di difficoltà crescenti.

È un quadro allarmante, quello che emerge dal pronto soccorso di Avellino, che richiama l’attenzione sulla necessità di un intervento immediato e strutturale. Perché dietro ogni numero, ogni ora di attesa, c’è una vita umana, spesso fragile, che merita rispetto e cure adeguate. E il diritto alla salute non può essere un’opzione, ma deve restare una priorità assoluta.