"Vogliamo credere che la richiesta di altre 29 misure cautelari nei confronti di altrettanti agenti di polizia penitenziaria che sarebbero coinvolti nei fatti di Santa Maria Capua Vetere dell’aprile 2020 sia una casuale concomitanza con l’attuale fase di gravissima emergenza che vede tutto il personale penitenziario fronteggiare, da solo, rivolte, tentativi di fuga, aggressioni continue."
Lo sostiene Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato polizia penitenziaria aggiungendo che meno male c’è un giudice che considera le esigenze cautelari richieste "insussistenti", dal momento che sono trascorsi oltre 4 anni dai fatti e dunque non ci sarebbe neppure il pericolo di inquinamento probatorio.
"Accade infatti che mentre gli agenti stanno dando prova di un impegno che va al di là di ogni limite per orario di lavoro (con straordinario sino a 40 ore al mese) e concentrazione per garantire la legalità - continua - dopo quattro anni non si riesce a chiudere la “vicenda Santa Maria” che alimenta grandi contraddizioni giudiziarie.
Solo qualche giorno fa commentavo l’assoluzione e il reintegro in servizio di sei agenti della polizia penitenziaria, anch’essi imputati nel processo per i fatti avvenuti nel carcere nell’aprile 2020, ricordando che in questi lunghissimi anni che hanno privato numerosi colleghi (e non solo di Santa Maria) del sostentamento per le famiglie ci sono stati anche condanne a detenuti che hanno fatto false testimonianze e ritrattazioni sempre sui fatti di Santa Maria.
Resta sempre aperta la questione che come sindacato di polizia penitenziaria poniamo da anni all’attenzione dell’amministrazione penitenziaria, governo e parlamento: la revisione del reato di tortura tanto più urgente in questa fase di acuta emergenza nelle carceri. In questa situazione sfuggita al controllo dello Stato gli agenti non possono “volgere l’altra guancia” e per difendersi non sono sufficienti guanti e scudi”.