Dove sono finite le nostre relazioni sociali e quale sia l'impatto della loro ormai sancita desertificazione in questi tempi di capi chini su smartphone di ogni genere e valore, non è ancora del tutto chiaro.
Il 54% della popolazione mondiale ne possiede almeno uno e ci passa un numero variabile di ore, ma comunque troppe per quello che veramente ci occorre o per il vantaggio che ne ricaviamo per le nostre vite e la nostra salute. Una ricerca della Lancaster University ci dice che "usiamo lo smartphone in media cinque ore al giorno rivolgendogli lo sguardo 85 volte nel corso delle 24 ore.
Dunque, più o meno un terzo del tempo che trascorriamo svegli lo dedichiamo all’insostituibile smartphone e, talvolta, neanche ce ne rendiamo conto". Tutto il bene informativo e, perfino, '"relazionale" che ne possiamo trarre, è ampiamente disperso dalla solitudine in cui precipitiamo e dagli effetti negativi che questo affare perfido e iningombrante ha sul nostro benessere fisico e psichico.
Fa bene (qualora ci riuscisse) il nostro ministro dell'istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, a vietarne l'uso a scuola. Altrettanto opportunamente il college inglese di principi e re, l'Eton College, gli ha dichiarato guerra, mettendo offline tutto il sistema. Ma, a esser chiari, non c'è età che tenga.
Certo, i nostri ragazzi (con una quota che ormai si approssima sempre più al 90%) battono tutti, ma anche i meno giovani - proprio quelli che dovrebbero indirizzare le scelte future e tutelare con norme non interlocutorie il bene di tutti - si fanno valere. Studi statunitensi dimostrano che più dell'80% della popolazione sopra i 65 anni di età possiede uno smartphone e almeno la metà lo sovrausa. Dati analoghi sono stati pubblicati in Giappone, con un 30% della popolazione oltre i 60 anni affetti da dipendenza da internet e con l'aggravante che il disturbo è sempre più correlato con un declino cognitivo precoce di questi soggetti. Io stesso ho appena scoperto che ci trascorro circa 7 ore al giorno, certo soprattutto per nobili motivi, come l'aggiornamento, le interazioni con i pazienti e questa e altre finalità di scrittura, ma sempre a testa bassa sto. Marcello Veneziani, in un intervento al Festival Eolie '24 dell'8 luglio scorso dal titolo "L'amicizia si nutre di solitudine" ha detto: "La solitudine di massa è il destino paradossale della nostra epoca globale e iperconnessa; l’amicizia è una vaga richiesta che si perde nella rete del virtuale."
Per aggiungere: "L’iperconnessione tecnologica e l’ipoconnessione umana è un tratto saliente della condizione presente; la tecnologia fa compagnia a chi è solo e isola chi è in compagnia; in ogni caso non accresce né favorisce l’amicizia più di quanto non faccia il suo contrario. Più facilmente sostituisce entrambi con una fittizia supplenza di solitudine e di amicizia."
Ricordando a me stesso che non esiste relazione sociale più virtuosa e benefica dell'amicizia, tanto da far dire a Lord Byron che "l'amicizia è amore senza ali", chiedo a chi ha orecchie per intendere (e pure al sottoscritto) di alzare infine lo sguardo e guardarsi intorno per incontrare altri occhi, come i suoi e migliori dei suoi, quantomeno perché, come diceva Platone, "se uno, con la parte migliore del suo occhio (la pupilla) guarda la parte migliore dell’occhio dell’altro, vede se stesso".