Avellino

Lei si presenta davanti al comitato elettorale in un tailleur verde, come i colori della città che di qui a quattro anni dovrà rappresentare come primo sindaco donna mai eletta. Laura Nargi ha sfondato in quasi tutti i seggi, concedendo ad Antonio Gengaro, sfidante politicamente più attrezzato, soltanto i quartieri lindi e pinti del capoluogo, che non hanno mai scelto veramente il loro primo cittadino.
Archiviati i decenni dell’onnipotenza democristiana, ora rappresentati da un abatino avanti negli anni e dall’opportunismo sfrenato come Gianfranco Rotondi, tutti i sindaci hanno dovuto affrontare i corpo a corpo nei quartieri periferici, quelli dove ti sporchi le mani con i problemi veri, di tutti i giorni, rispetto ai quali nessuno ha mai dato vere risposte ma che si presentano “conquistabili” da chi impersona l’antipolitica, l’uomo comune che ha fatto strada da solo, senza il sostegno degli apparati.
Laura Nargi è figlia dell’Avellino nata già fortunata, ma ha raccolto con coraggio l’eredità del sindaco marpione, quello da due mesi agli arresti domiciliari e sotto la cui abitazione sono stati esplosi i primi petardi di festaggiamento. A conti fatti, Gianluca Festa avrebbe vinto al primo turno, se non fosse per quel pc fatto sparire e che lo ha smutandato a livello nazionale. Nargi ora dovrà assumere su di sè l’onere della rettitudine, smantellata dal cerchio magico (Smiraglia e i fratelli Guerriero) che tutto volevano decidere e tutto volevano controllare a palazzo di città. Rettitudine che dovrebbe consigliarle di lasciare a casa i volponi che, alle spalle di Festa ma a distanza di sicurezza, hanno gestito affari, appalti e zozzerie che la Procura ha soltanto lambito, appena appena scalfito.
Una vestale, insomma, che dovrà dimostrare polso vero. L’essere donna in politica conta poco o nulla, se non tieni gli occhi aperti e il portafogli al sicuro quando frequenti certe persone.
Per il campo largo l’esperimento può dirsi riuscito a metà. Il Movimento 5 stelle, al di là della deputazione nazionale e regionale che ancora esprime nel capoluogo, nelle urne è evaporato. Della macchina da guerra che sbaragliò tutti portando un perfetto sconosiuto come Ciampi alla guida del Comune nonostante non avesse la maggioranza non c'è più traccia. 
Ma anche per il Pd è una batosta non da poco. Non c’è due senza tre: ha bruciato prima l’attuale segretario provinciale Nello Pizza, poi il giovane Luca Cipriano e adesso Antonio Gengaro, sostenuto senza se e senza ma da tutto il vertice del partito. 
Qualcuno dovrebbe iniziare a farsene una ragione e trarre qualche conseguenza. Tre bocciature di fila sono una voragine politica senza ritorno in cui sono precipitati i democratici. La genesi di questo scollamento, del rifiuto totale della maggioranza della città a rinnovare la fiducia a vecchi arnesi, filibustieri, nasce con quel Paolo Foti, sindaco a sua insaputa, espressione di un’amministrazione senza né capo né coda. Se tanto mi dà tanto, tutta la corte dei miracoli che ancora frequenta, nonostante i fallimenti, nonostante le bocciature, i corridoi di una segreteria che non rappresenta più nemmeno le pareti, dovrebbe accomodarsi alla porta e abbandonarsi all’oblio cui la storia destina le mezze tacche, senza tenerne memoria.