Benevento

Liberté è il nuovo singolo di Alessio Tamburo Luongo, uscito qualche ora fa e mai con un titolo più azzeccato. No, non per la dedica (che c'è) al Rione Libertà che come noto è “la casa” del rapper beneventano: è un dato arcinoto questo, e ricalcarlo per un artista bravo e attento come Alessio sarebbe stata un'ovvietà, un nulla di nuovo per un rapper che invece cerca sempre il nuovo.

Il Rione Libertà è lo sfondo, sì, ma quella “Liberté” è solo un gioco lessicale che si concede Alessio per raccontare un'altra “liberté”: la sua personale.
Sì, perché l'ultimo brano è la definitiva chiusura di un cerchio, di un viaggio (difficile) che Alessio inizia da bambino, porta sofferenza (tanta) e arriva al ragazzino trasforma quella sofferenza in rabbia inventando “Tamburo” e iniziando a rappare (e chi scrive ha avuto la fortuna di seguire praticamente tutto il percorso).
Quella sofferenza finisce, ormai senza più veleno ma come un elemento ormai elaborato, in “Libertè”: dalle lettere scritte da bambino al papà, inconsapevole che fossero indirizzate alla casa circondariale, all'invito agli altri a dare l'esempio a chi oggi è bambino “criscitell' forte, senza scuse ca simm abituat a nun tenè curagg'”.

Lui invece il coraggio l'ha trovato, di non trincerarsi dietro la logica che rappare la rabbia debba per forza comportare l'equazione ghetto/gangster/delinquenza e relativa esaltazione, no, Alessio Tamburo lo dice chiaro: “Non sono stato dentro né ci vorrei stare, sono bastati i racconti di mio padre”. E' la pace definitiva tra Alessio e Tamburo, un cerchio che si chiude con un “liberté” che nella canzone l'artista si chiede “quanto costa?”. E' costata tanto ad Alessio, tantissimo, ma se l'è presa ed oggi il suo percorso, musicale e personale è una sorta di manifesto per tutti, un modello di come indirizzare la rabbia, renderla positiva, uscire dagli stereotipi e dai facili cliché.  Alessio ha chiuso il cerchio, si è preso la libertè. Ma ora deve andare oltre.