“Debbo contenermi, mi hanno suggerito i miei avvocati”. Paolo Di Donato, 54 anni, di Sant'Agata dei Goti, lo ha ripetuto più volte durante l'esame al quale si è sottoposto oggi nel processo – 36 imputati, lui è il più importante – nato dall'inchiesta della Digos su alcuni centri per migranti nel Sannio.
Più facile a dirsi che a farsi, perchè l'uomo di cui un giornale nazionale aveva piazzato in prima pagina una foto che lo ritraeva accanto ad una Ferrari (“L'ho comprata e rivenduta dopo tre mesi ad un prezzo triplo, per autofinanziarmi”) non è riuscito a limitare la sua 'esuberanza verbale', al punto che il pm Patrizia Filomena Rosa ha rinunciato all'interrogatorio (“Non è possibile andare avanti così”, è sbottata all'improvviso ), evidentemente stizzita dai continui riferimenti polemici e puntuti nelle “premesse” alle risposte alle prime due domande poste a Di Donato. Che, da parte sua, ha rivendicato di essere stato il creatore ed il gestore di Maleventum, il Consorzio costituito da più cooperative, ognuna delle quali gestiva un centro.
"Maleventum sono stato io, nel bene e nel male”, ha ribadito, sottolineando che si occupa di accoglienza da “30 anni”, e precisando di aver lasciato la presidenza nel 2014 “perchè ho curato solo l'emergenza, il recupero dei migranti a Napoli, il loro trasferimento e la loro sistemazione”, e di aver lasciato ad altri il ruolo di amministratore. Toccava a questi ultimi, ha aggiunto, dopo averli ricevuti via fax da ogni struttura, tutte le mattine, portare in Prefettura i fogli con le firme relative alle presenze. Non era semplice, ha continuato, “perchè in Africa non esiste la firma: i ragazzi potevano muoversi liberamente, andare ovunque, quando rientravano mettevano degli scippi su quei fogli. Abbiamo dichiarato assenze per 156mila euro, abbiamo incassato 11 milioni di euro, ma io sono sotto processo per 850 euro”.
Di Donato è tornato sulla gara d'appalto vinta da Maleventum con il prezzo più basso, 28 euro per ogni migrante. “Se non avevamo posti, non abbiamo mai raggiunto i 1000, gli stranieri venivano affidati, sempre con lo stesso costo, agli altri partecipanti alla gara”, ha spiegato, rispondendo ai suoi legali - gli avvocati Pietro Farina e Cosimo Servodio, che ha sostituito il collega Vittorio Fucci -. “Ero un riferimento per la Prefettura e la Questura, mi dicevano che senza il mio aiuto avrebbero dovuto mettere le tende nella villa comunale di Benevento”, ha proseguito, puntando l'attenzione, poi, su un episodio accaduto nell'ottobre 2015, quando un gruppo di ospiti del centro Damasco 9, a Benevento, aveva manifestato davanti alla Questura. “Avevano cartelli con i quali protestavano per la lunghezza dei tempi per i permessi di soggiorno, ma un poliziotto annotò che lamentavano la scarsità del cibo e delle condizioni igieniche, che non erano curati e che avevano delle ecchimosi sulle braccia. Non era vero, il giorno prima a tutti era stato praticato un vaccino, erano stati sottoposti ad accertamenti”. Al termine, il Pm è tornato sui suoi passi ed ha rivolto alcune domande all'imputato, concludendo l'esame.
Era previsto, ma è slittato alla prossima udienza, anche quello di Felice Panzone (avvocato Alessio Lazazzera), 64 anni, di Montecalvo Irpino, fino al gennaio 2017 funzionario aggregato alla Prefettura di Benevento. Aveva fatto riferimento a lui anche Di Donato: “In Prefettura il mio interlocutore era Canale (ndr Giuseppe viceprefetto vicario), Panzone l'ho sentito poche volte al telefono: nella prima mi arrabbiai, gli dissi che c'erano problemi, che avremmo chiuso i centri”. Con il rischio di trovarsi le tende nella villa comunale.
Fissati i prossimi appuntamenti in aula: 27 giugno, 11 luglio, 10 ottobre e 28 novembre, quando dovrebbe essere stabilito il calendario delle discussioni, non prima di una serie di prescrizioni che il Tribunale si prepara a dichiarare.