Avevo 17 anni e a metà mattinata ci fecero uscire di corsa dalla scuola. Tutti. Tra liceo scientifico e ragioneria, a migliaia ci ritrovammo in via De Concilii senza sapere perché. L'unica cosa che gli insegnanti ripetevano, i più avveduti scossi fino alle lacrime, "un fatto grave, un fatto gravissimo". Come un inconsapevole fiume, attraverso un tam tam la cui genesi non è stata mai completamente ricostruita, ci ritrovammo sotto la sede della Cgil, dove un uomo con il megafono, rivelatorio come le amiche per Filumena Marturano, raccontò: «Così, così, così». La scuola aveva rinunciato alla funzione didattica e affidato alla strada la consapevolezza che ti rende un po' più adulto. La morte di quell'uomo buono, capace di struggenti parole d'amore per la propria famiglia, cancellarono quell'immaturo sentimento di vicinanza ai "rivoluzionari": a quell'età uno confonde gli assassini con i miti veri come Che Guevara. E Avellino aveva armato la propria "colonna", reclutando anche tra amici e conoscenti: il vicino che non t'aspetti. Ma i brigatisti avevano preso a sparare a poveri cristi. E per salire di livello scelsero il politico migliore: questo li ha isolati e distrutti. Il ricordo di un adolescente non spiega fino in fondo come e perché il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro sia uno degli eventi più oscuri e traumatici della storia italiana, avvenuto nel 1978 durante gli anni di piombo.

A favore degli adolescenti di oggi, ecco una ricostruzione per tappe, citando i brigatisti coinvolti:

Preparativi

La preparazione dell'operazione è stata condotta da un nucleo di membri delle Brigate Rosse, compresi Mario Moretti, Renato Curcio, e Margherita Cagol. Sono stati scelti come obiettivo Aldo Moro, all'epoca presidente della Democrazia Cristiana e già due volte Primo Ministro.

Agguato

Il 16 marzo 1978, Moro viene prelevato da un commando delle Brigate Rosse nei pressi della sua abitazione a Roma mentre si dirigeva verso il Parlamento. Nell'agguato, cinque membri delle sue scorte sono uccisi.

Rapimento

Moro viene portato via in un'auto rubata e trasferito in una prigione clandestina, dove è tenuto prigioniero.

Comunicazioni e richieste

Le Brigate Rosse inviano comunicati al Governo italiano, in cui chiedono il rilascio di prigionieri politici in cambio della liberazione di Moro.

Trattative

Sono avviate trattative tra il governo e i rapitori, ma non portano a un accordo.

Appelli di Moro

Durante la sua prigionia, Moro scrive diverse lettere e appelli, chiedendo aiuto e sollecitando il governo ad accettare le richieste dei sequestratori per salvare la sua vita.

Cattura e morte di Aldo Moro

Nonostante gli sforzi delle autorità e delle persone vicine a Moro per negoziare il suo rilascio, il 9 maggio 1978 il corpo di Aldo Moro viene ritrovato all'interno di un'auto parcheggiata in Via Caetani a Roma, a pochi passi dall'edificio della Democrazia Cristiana. Moro era stato ucciso dopo 55 giorni di prigionia.

Brigatisti coinvolti

Tra i membri delle Brigate Rosse coinvolti nel rapimento e nell'omicidio di Aldo Moro vi sono Mario Moretti, Renato Curcio, Margherita Cagol, Prospero Gallinari, Barbara Balzerani e Alberto Franceschini, oltre ad altri membri minori che hanno partecipato all'operazione o fornito supporto logistico.

Questo evento ha avuto profonde conseguenze sulla politica italiana e sulla lotta contro il terrorismo negli anni seguenti, segnando un punto di svolta nella storia del Paese.

Le Brigate Rosse contestavano principalmente la politica di compromesso storico adottata da Aldo Moro e dalla Democrazia Cristiana. Il compromesso storico era un tentativo di stabilire una collaborazione tra la DC e il Partito Comunista Italiano (PCI) al fine di affrontare le sfide politiche e sociali dell'Italia degli anni '70.

Le Brigate Rosse, tuttavia, erano fortemente contrarie a questo approccio. Ritenevano che la DC, con Moro in particolare, stesse tradendo i principi rivoluzionari e la causa del proletariato italiano. Le BR volevano rovesciare il sistema politico esistente e instaurare un regime comunista rivoluzionario in Italia.

Il rapimento di Moro è stato considerato una risposta violenta a ciò che le Brigate Rosse vedevano come un tradimento della causa comunista da parte di Moro e della DC. Moro stesso ha cercato di negoziare con i suoi sequestratori, sottolineando il suo impegno per la pace e il dialogo, ma purtroppo i suoi sforzi non hanno portato al suo rilascio e ha perso la vita dopo giorni di prigionia.

La lettera straziante di addio

La "lettera di addio" di Aldo Moro alla moglie e alle figlie è uno dei documenti più toccanti e drammatici legati al suo rapimento e alla sua prigionia. Questa lettera è stata scritta da Moro durante la sua prigionia e riflette il senso di impotenza e la consapevolezza della sua situazione tragica. Tuttavia, è importante notare che la lettera non è stata resa pubblica fino a dopo la sua morte. Ecco un estratto della lettera:

"Carissima Eleonora, carissime Giuliana e Maria Fida, mi chiedete cosa potete fare, ora, voi.
Cosa rispondere? So che il tempo a disposizione non è grande; mi pare che non si possa più sperare. Dovete pensare alla vostra vita. Alla vostra vita che continua. Alla vostra vita di oggi e a quella futura, che voi, spero, possiate e vogliate fare serena e felice. A questo pensate, dunque. A questo pensate voi, adesso. Io penso a voi. A voi, al vostro futuro.
A voi con tutto il mio amore.
Aldo"

Queste parole rivelano la profonda angoscia e la preoccupazione di Moro per la sua famiglia e il suo desiderio che le sue amate persone care possano trovare la serenità e la felicità anche in sua assenza. La lettera è una toccante testimonianza della sua umanità e della sua dedizione alla sua famiglia, fino all'ultimo momento della sua vita.