Avellino

“Se l’organizzazione della vita pubblica venisse affidata al diavolo, egli stesso non saprebbe immaginare nulla di più ingegnoso”. Simone Weil, Nota sull’abolizione dei partiti politici (1943)

La fulminante quanto drammatica caduta dell’amministrazione comunale di Avellino, per quanto generata da un fascio travolgente e simultaneo d’inchieste giudiziarie, scuote nel profondo la città, da tempo capitale dell’effimero e quindi dell’indifferenza pubblica.

Era da quarant’anni, dal tempo “sospeso” del post-terremoto del novembre 1980, che un sindaco, seppur dimessosi in questo caso quasi un mese fa, non fosse costretto ad affrontare l’onta dell’arresto. I tempi profondamente diversi e le situazioni storiche non consentono sommari confronti tra le due stagioni. Altre erano le condizioni del sistema politico-sociale, altre le cause, altre le storie di protagonisti e comprimari.

Eppure la diffusione in bianco-nero delle immagini di queste ore, sfuggite alla riservatezza dovuta, hanno turbato, trafitto le coscienze libere e profuso, forse improvvidamente, manciate di sale di Agrigento sulle già laceranti ferite della realtà incombente.

La questione morale però non è solo cronaca ma storia incancrenita dal silenzio, dalla complicità e dalla correità di tanti.

Ciò che colpisce nel presente è la perdurante assenza della politica, oggi più di ieri, al rimorchio delle decisioni della magistratura inquirente. Che Avellino fosse da anni priva di una classe dirigente autonoma e responsabile questo, credo, fosse noto almeno alle coscienze degli uomini liberi e forti.

Sovente Avellino ha preferito gli esecutori ai liberatori, i moralisti d’assalto al bisogno di moralità condivisa in un contesto inquinato dal voto di scambio e da comportamenti spesso ai confini della legalità. Lo ripeto da anni. Come giustificare nei quartieri del bisogno e della emarginazione sociale la presenza di portatori di voti che un tempo lavoravano per conto terzi e che poi hanno iniziato a giocare in proprio? Siamo passati dai manovali del controllo del voto ai caporali di giornata, indaffarati nelle stanze del potere locale a costruire miserabili clientele.

Dilettanti convertiti al professionismo da investiture elettorali improvvisate, camaleonti cresciuti e invecchiati nelle anticamere del potere e nuove leve del tutto inadeguate sul piano culturale, hanno reso il paesaggio politico locale un coacervo di mediocrità e di conflitti tenuto insieme da una fitta rete di relazioni con la Regione Campania, una inestinguibile, concreta fonte di influenza sulla gestione della cosa pubblica nei territori.

Una dipendenza interessata e comoda che porta a decidere le sorti del futuro amministrativo di Avellino nella vicina Salerno, dove goliardici delfini, ostinati non lettori di Max Weber o di Simone Weil, si peritano di dare pubblicamente patenti di candidabilità. Atteggiamenti questi destinati a generare l’inevitabile allontanamento ed esilio dalla vita pubblica delle èlite, non disposte ad accettare, senza ripensamento critico, l’apologia e la generica mitizzazione narcisistica del Passato.

Le prossime elezioni amministrative dovranno segnare come non mai uno strappo dal presente e fare in modo che i nuovi reggitori di governo, possibilmente degli outsider competenti, siano capaci di non rendere più estranea la vera Avellino da quella impolverata, sudicia e sconfitta dell’oggi, voluta dalle negligenze e dagli egoismi di quel resto di niente che sono i partiti ma anche dalla mancata ribellione di quel senso democratico e civile che pure intride la nostra storia locale.

Due città separate da anni, incomunicabili tra loro e divise tra moralizzatori e moralisti, tra familisti e gente onesta, tra chi conosce il giusto e il legittimo e chi lo ignora. Dorsianamente i liberi elettori avellinesi, gli unici arbitri di questa ultima partita, con un atto irresistibile e determinato, sappiano evitare la prevedibile, ripetitiva leva dei morti, sempre pronti alle abusate pratiche del “Ritornare” in nome del Bene comune. Noi non vi crediamo.

L'autore è Professore ordinario di Letteratura italiana nell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale