Napoli

Tutto è cominciato un po' per gioco, quando ho mandato gli auguri di "buona Pasqua" a un amico di vecchia data, uno di quelli che avevo appena rincontrato per caso dopo decenni, che stimavo sin dai tempi della scuola e che mi sono ritrovato romanziere solido e affermato.

La domanda che mi sono posto, oziosa e intrusiva quanto volete, è stata: "perché gli faccio gli auguri, cosa sto veramente sperando per lui, e che senso autentico ha per me e per lui questo voto?". Facciamo un passo (lungo, molto lungo) all'indietro, fino alle origini primordiali della Pasqua - roba da Vecchio Testamento - per arrivare all'impatto che quelle vestigia religiose e morali hanno ancora sulla festa che così laicamente oggi "consumiamo", né più né meno di tante altre ricorrenze religiose, svuotate ormai del loro profondo significato liturgico e ridotte a meri eventi commerciali sempre più a uso e consumo degli "utenti" di turno.

Tutto è cominciato dal passaggio degli ebrei attraverso il mar Rosso, che lasciarono alle loro spalle, o più propriamente nelle carnefici profondità di quelle acque, l'esercito del faraone egiziano a caccia di un ennesimo fatuo dominio o, peggio, di una irraggiungibile e amara vendetta.

Da qui la parola pascha, a sua volta derivante dall'aramaico pasah, che significa "attraversare". Ma non è tutto, anzi non è in realtà esatto. Entrambi i vocaboli significano anche, è forse più propriamente, “passare oltre”, qui intendendo quello dell'angelo sterminatore che risparmiò i primogeniti del popolo di Dio grazie alle stimmate lasciate sulle sue porte del sangue di un agnello, primo vero passo verso "la certezza della libertà". Dal miracoloso affrancamento giudaico dalla schiavitù al "passaggio" dalla morte alla vita di Gesù Cristo il tratto poi è stato breve. Ma non è tutta qua la magia della Pasqua, c'è di più molto di più. È l'agnello (ancora lui) di Dio che si immola per la salvezza degli uomini, è l'eterno inizio dell'amore che tutto tralascia, tutto trascura, in nome e per conto di una tenerezza incolmabile ed eterna.

Ed è la ragione stessa di ogni alleanza, terrena e divina: la capacità di rinnovarsi sempre, per ritrovarsi più uniti e forti di prima. Il mistero della Resurrezione è tutto qua, non nella perdita di identità fisica né nella trascendenza dell'atto, ma nella ricerca di qualcosa che avevamo e che avremmo avuto di nuovo solo se avremmo considerato la nostra lunga attesa non per qualcosa di materiale, bensì di spirituale e intuitivo. Passando dalle feste ebraiche del frumento e del vino a quelle pasquali, con la loro messe di frugali riti preparatori e di susseguenti gioie baccanaliche, in mezzo ci ritroviamo la Pasqua, la festività (non a caso) itinerante, la "principale solennità del Cristianesimo".

Tutto, in questo giorno, è carico di un simbolismo profondo, anche ciò che è poi divenuto una consuetudine commerciale. Su tutti l'uovo, emblema di (ri)nascita e di vita, con il suo guscio, composto dello stesso materiale del marmo, e la sua "sorpresa", raffigurazione della preziosità di un dono che ne include uno più segreto e prodigioso.

Ma anche il giorno che segue la Pasqua, il lunedì dell'Angelo che annuncia la Resurrezione alle donne e ai discepoli raminghi, divenuto poi anche quello del battesimo dei bambini vestiti di bianco, in albis appunto, a ricordare al mondo che la purificazione è avvenuta, il dado alla luce è tratto e se ne può tutti finalmente gioire. Così ora lo so, al mio amico - forse non a caso ritrovato - ho augurato di "andare oltre" le banalità e le controversie, di "attraversare" il suo tempo con fede (anche in sé stesso) e coraggio, di "superare" le cattiverie, le malattie e la morte, di "liberarsi" del passo affaticato del corpo per vivere con quello impalpabile ed eroico dello spirito e di "ricominciare" ogni giorno come se fosse il primo, tanto da stupirsi di nuovo di tutto, non dar per scontato mai nulla ed amare daccapo le persone e la vita come se non avesse mai conosciuto e amato prima.

Per questo la Pasqua è diversa dal Natale, non è un buongiorno al mondo ma un addio, a tutto quello che siamo stati e che, anche volendo, non possiamo più essere, se davvero vogliamo chiamarci uomini. Ed è al più alto rappresentante di quella specie, quello fatto a immagine e somiglianza di chi si è immolato su una croce, che dovremmo donare il nostro "augurio". Solo così rispetteremo e onoreremo davvero la Pasqua, che la si voglia vedere con gli occhi della fede o meno, e di conseguenza la persona a cui stiamo rivolgendo affettuosi, ma (vi prego) non distratti o generici, auspici.