Una settimana appena di vacanza dalla passione calcistica che vede coinvolti i tifosi delle squadre di serie A e B e molti di noi già stanno alla canna del gas. Quella per la nazionale - l'ho già detto almeno un milione di volte - è infatti passata di moda (di certo nel sottoscritto) da un bel po'. E, come ho anche fino alla noia chiarito, non per la (giusta) perdita di un patriottismo rabberciato e di maniera, buono a vendere gadgets, a mettere la mano sulla parte destra di un petto più gonfio di un otre o a mostrare i denti ben affilati e sempre bramosi di mordere zeppole e panzarotti, bensì a causa della inesorabile perdita di identità e passione per una rappresentativa azzurra da tempo inconcludente e senza la benché minima parvenza di un'anima nobile e unificante.
Chi scrive ha visto e conosciuto - anche se non in prima persona - le miserie di una Italia post- boom economico, pronta a cercare scompostamente una strada che finisse per riconoscerle un ruolo nel mondo dei ricchi e dei potenti, ma più che mai divisa economicamente (e non solo) al suo interno e, perciò, malignamente pronta a scavare un irreparabile solco tra i nordici "donatori" di sangue (infetto) e lavoro e il folto e rassegnato popolo dei loro opposti "riceventi". Eppure, sul piano strettamente sportivo, sembrava muoversi tutta nella stessa direzione. La nazionale era un momento di svago e di appartenenza non divisiva - ci credereste? - e perfino i film, come quelli che ci facevano sbellicare dalle risate di Paolo Villaggio con il suo iconico e irresistibile Giandomenico Fracchia, dava pieno riconoscimento e onore a questo non artefatto sentimento.
Niente a che vedere, insomma, con quella odierna, che quando razzola da queste parti prende batoste e racimola figure barbine a iosa, figurarsi quando se ne va nelle Americhe, in pieno campionato e in nome di un business che rende solo più grasso e untuoso chi tiene in piedi un carrozzone dove lo sport più praticato è mettere a tacere scandali e irregolarità e difendere brand moralmente compromessi se non addirittura falliti, purché (ancora) del nord.
Così, in attesa che questa finzione, nella quale tutti ci crogioliamo, potesse finalmente riprendere e fiere e gladiatori potessero ricominciare a dare prova del loro valore, il sottoscritto se ne stava - nella incerta Domenica Delle Palme della sua amata città - mestamente a far di conto su quale dei calciatori, che pur tanta felicità gli avevano dato appena qualche mese prima vincendo un magico scudetto, sarebbe tornato felice all'ovile