E giunse il giorno di scucire - per ora solo simbolicamente - lo scudetto dalle maglie azzurre del Napoli per congiungerlo a quelle nerazzurre dell'Inter. Il particolare cromatico differenziante le due casacche non era esattamente minore e regalava a questo "passaggio di consegne" una metaforicità non proprio solo calcistica - dal clamore abbagliante dei giorni partenopei si ritornava ai chiaroscuri sottaciuti e rigorosi delle notti meneghine.
Questo era l'antefatto poetico, ma ce n'era uno ben più prosaico e stridente. La SSC Napoli, nella sua logica imprenditoriale ahimè ancora esponenzialmente legata ai termini e ai destini di questo nostro povero sud - quelli dettati dal vetusto e imperfetto padre-padrone - era stata sopraffatta, proprio al culmine della sua giovane storia, quando mancava poco al conseguimento della maggiore età, da tali sentimenti di autocompiacimento e onnipotenza da esserne travolta e annichilita.
Un ragazzino brufoloso e invaghito di una irresistibile sciantosa non avrebbe saputo fare di meglio. Eppure - è d'obbligo aggiungere eppure - in questo narcisismo di maniera e dilettantesco, la vittoria dello scudetto aveva anche sancito un'inversione di tendenza rivoluzionaria nella storia moderna del calcio italiano, addirittura superiore a quella compiuta in epoca maradoniana.
Un trionfo così inarrestabile e bello in ogni sua parte, quasi una favola, non poteva passare inosservato a chi regolava da sempre le lancette della Storia a suo piacimento. Come, una società non nelle occulte e fameliche mani di fondi o fantocci né in quelle attanaglianti ed ecumeniche di aziende traboccanti di potere, aumenti di capitale, paradisi fiscali e spregio delle regole, poteva mai combinare tutti i pezzi via via sottratti o mancanti e assurgere a esempio, emblema di unità, buona gestione, integrità finanziaria, riscatto sociale e fenomeno imprenditoriale e sportivo?
Hai voglia ad accostarla a chi per molto di più di una singola plusvalenza (neanche poi certa) aveva patteggiato tutti i reati (per ora solo sportivi) in un colpo solo! E come tacere il fatto che, in attesa che "tutte le cose tornassero al proprio posto", qualcuno - proprio chi quello scudetto giusto e immacolato se lo stava per appuntare sulle maglie - aveva potuto condurre indisturbato una campagna acquisti faraonica (e continuava a farlo, come nel caso Zielinski), nonostante 850 milioni di debiti non garantiti da nessuno? Questo era, alla fine, la vera premessa di Inter-Napoli, in nome del papa re.