Napoli

L’eruzione del 1944 fu preceduta da alcuni segnali di attività vulcanica, come fratture, colate laviche e lanci di scorie, che si verificarono tra il 1943 e il 1944. Il 18 marzo, alle 16.30, si verificò una violenta esplosione che distrusse parzialmente il piccolo cono di scorie che si era formato sulla sommità del vulcano dopo l’eruzione del 1906. Da questa apertura iniziarono a fuoriuscire forti colate laviche, che si riversarono sui versanti nord, sud e ovest del vulcano, raggiungendo velocità di centinaia di metri all’ora.

Le colate laviche invasero e distrussero parzialmente i paesi di San Sebastiano al Vesuvio e Massa di Somma, e si spinsero fino a Cercola, minacciando anche altri comuni come Terzigno, Pompei, Scafati, Angri, Nocera, Pagani e Poggiomarino. Gli abitanti di queste zone furono evacuati in gran parte dalle truppe alleate, che organizzarono un piano di soccorso e assistenza. Circa 12.000 persone furono trasferite a Portici, dove furono ospitate in edifici pubblici e privati. L’eruzione causò anche 47 vittime, la maggior parte delle quali a San Sebastiano, dove 26 persone morirono per asfissia a causa della pioggia di ceneri e gas.

Il 22 marzo l’eruzione cambiò carattere, diventando più esplosiva. La nube eruttiva raggiunse un’altezza di 6 km, e dal cono si staccarono valanghe di detriti caldi e piccoli flussi piroclastici, che scesero lungo i fianchi del vulcano. L’intera giornata fu accompagnata da una forte attività sismica, che si protrasse fino al mattino del 23 marzo, quando l’eruzione si ridusse alla sola emissione di cenere. Il 24 marzo l’eruzione andò scemando, con le esplosioni che si ridussero gradualmente fino a scomparire il giorno 29, e con la persistenza delle sole nubi di polvere che fuoriuscivano dal cratere e che nel pomeriggio sparirono del tutto. L’eruzione del 1944 fu classificata come di tipo vulcaniano, con un indice di esplosività vulcanica (VEI) di 3, e produsse circa 21 milioni di metri cubi di lava e 50 milioni di metri cubi di prodotti piroclastici.

Quell'inatteso miracolo

L’eruzione del 1944 fu documentata da molte fonti, tra cui fotografie, filmati, testimonianze e articoli di giornale. Tra questi, ce n’è uno che racconta una storia vera e verificabile, accaduta a Napoli in quel giorno. Si tratta di un articolo pubblicato il 19 marzo 1944 sul quotidiano Il Mattino, intitolato “Un miracolo di San Gennaro”. L’articolo narra di come il sangue del santo patrono di Napoli, conservato in una teca nella cattedrale, si sia liquefatto proprio durante l’eruzione, come segno di protezione per la città. Il fatto fu testimoniato da migliaia di fedeli che si erano recati in chiesa per pregare e invocare l’intercessione di San Gennaro.

Il cardinale Ascalesi: «Il Vesuvio non ci farà del male»

L’articolo riporta anche le parole del cardinale Ascalesi, arcivescovo di Napoli, che disse: “San Gennaro ha fatto il miracolo per Napoli, per la sua gente, per la sua terra. Il Vesuvio non ci farà del male”. Il fenomeno della liquefazione del sangue di San Gennaro è noto da secoli, e si verifica in alcune date prestabilite, ma anche in occasioni straordinarie, come appunto l’eruzione del 1944. Si tratta di un evento che suscita ancora oggi grande devozione e curiosità, e che è stato oggetto di numerosi studi scientifici, senza però trovare una spiegazione definitiva.