«L’Italia della Salute è oggi più che mai spaccata in due. Da una parte c’è un centro-nord con regioni non certo “isole felici” della sanità, afflitte da croniche carenze di personale, fughe di professionisti all’estero (vedi la Lombardia), dimissioni a raffica di professionisti (vedi i recenti dati di Friuli e Trentino su tutte).

Sembrerebbe un quadro totalmente a tinte fosche ma non lo è, rispetto organizzazioni che comunque si mantengono decisamente a livelli di sufficienza, offrendo prestazioni comunque non al di sotto di determinati fondamentali standard di qualità.

Dall’altra parte il Sud cola letteralmente a picco, tra liste di attesa infinite, anche qui carenza di personale con realtà sanitarie di per se già vetuste, che pagano, vedi la Campania, politiche di austerity che hanno tagliato le gambe ad un sistema già traballante, dove si chiaro non mancano gli sforzi immani e le competenze di validi professionisti, che però si depauperano in un mare di disagi e di improvvisazione.

Cosa vi stiamo raccontando? L’Italia dai due volti, quella che, secondo le principali e attendibili indagini relative al 2023 (Fondazione Gimbe e Crea Sanità su tutte) ci disegna un Paese dove la qualità della tutela della salute è nettamente differente tra Nord e Sud. E tutto questo non è certo confortante in chiave futura, dal momento che tutti i cittadini, in particolare i soggetti più fragili, ovvero i malati cronici, meritano una sanità pubblica che risponda alle loro esigenze con la medesima efficienza, in qualunque territorio essi si trovino a vivere».

Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up. 

In particolare è il report di Crea sanità del 2023 a confermare l’enorme gap tra Regioni, lanciato da tempo come allarme da sindacati  come il nostro, associazioni, Società scientifiche e Istituti nazionali di ricerca.

Nel 2023, secondo le analisi pubblicate a Giugno nell'XI Rapporto Crea Sanità sulle Performance Regionali, otto Regioni/Province autonome vengono  'promosse' (di cui tre a pieni voti), sette 'rimandate' e sei 'bocciate' alla prova delle performance valutate su sei dimensioni: Appropriatezza, Equità, Sociale, Esiti, Economico-finanziaria, Innovazione.

Le conferme o le novità stanno per arrivare con lo sviluppo della nuova analisi già in fase di realizzazione e che sarà conclusa da Crea Sanità a fine primavera 2024.

Nel 2023 Veneto, Trento e Bolzano hanno ottenuto il miglior risultato (con punteggi che superano la soglia del 50% del risultato massimo ottenibile, rispettivamente: 59%, 55% e 52%).

Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Lombardia e Marche vanno abbastanza bene, con livelli dell'indice di Performance compresi tra il 47% e il 49 %. Le buone notizie finiscono qui: se Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Umbria, Molise, Valle d'Aosta e Abruzzo raggiungono livelli di performance abbastanza omogenei, ma comunque inferiori, compresi nel range 37-43%, Sicilia, Puglia, Sardegna, Campania, Basilicata e Calabria, hanno livelli di performance pericolosamente più bassi rispetto al 32 per cento.

In sostanza la valutazione divide in due l'Italia, con circa 29 milioni di cittadini nelle prime otto Regioni che possono stare relativamente tranquilli e altri 29 milioni nelle Regioni rimanenti che potrebbero avere serie difficoltà ad avere garantiti i servizi sanitari relativi ai capitoli sopra citati.

Ancora Antonio De Palma: «Al Sud, in particolare, come diretta conseguenza, viene sempre più a logorarsi, a causa dei disagi, anche l’empatia tra professionisti e pazienti, che stanchi ed esasperati da attese anche di 48 ore in un pronto soccorso, ci trasformano in capri espiatori di una sanità che non appare più a misura di persona. Ecco l’acuirsi del fenomeno delle aggressioni, ecco la rabbia e la violenza che la fa da padrone in quelli che dovrebbero essere luoghi di cura adibiti a salvare vite umane, dice ancora De Palma, e che diventano invece trincee con infermieri presi a pugni e a calci quasi ogni giorno.

In particolare, al Sud, il Gap è legato ad una sanità territoriale profondamente inefficiente.

Il quadro più nebuloso è quello di una assistenza domiciliare non in grado di rispondere a pieno alle esigenze di anziani non autosufficienti, disabili e malati cronici, con le famiglie costrette a voli pindarici per visite e cure private, ma anche realtà dimenticate, dove servirebbe come il pane la presenza di quei famosi infermieri di famiglia che una legge doveva distribuire equamente da nord a sud e diventati quasi leggenda, vedi le carceri e le scuole, laddove sarebbe doveroso contare su validi professionisti dell’assistenza per sostenere ad esempio bambini e ragazzi disabili con sacrosanto diritto allo studio.

Solo dieci Regioni italiane hanno il maggior numero di indicatori, superiori alla media nazionale, ovvero rispondono ai parametri di una sanità a misura di cittadino, e sono tutte Regioni del Centro-Nord.

La sanità della diseguaglianza, la sanità dell’approssimazione, la sanità dei disagi e della mediocrità, la sanità italiana dai due volti. Non è certo quello che vogliamo per noi, per le nostre famiglie, per la collettività.

La soluzione è ben chiara: investire, investire e ancora investire, negli uomini e nelle donne della sanità, ovvero nei professionisti e nelle loro competenze, valorizzandoli economicamente e contrattualmente, senza cercare soluzioni tappabuchi (con tutto il rispetto per i professionisti stranieri, vengono prima i nostri di professionisti!). 

E ancora occorre investire nelle strutture, nell’organizzazione, nella tecnologia, nella ricerca, nella formazione, per ridonare appeal alle professioni sanitarie e garantirsi un indispensabile ricambio generazionale, con sempre più nuovi laureati che possano trovare nel proprio paese terreno fertile per innalzare il livello della qualità della nostra sanità.

Insomma, la popolazione italiana, che viaggia verso un lento e costante invecchiamento, non può permettersi più gli schiaffi in faccia delle promesse mancate, la politica deve darsi una mossa», conclude De Palma.