Napoli

L'ammesca francesca è un brioso termine largamente usato nel dialetto napoletano per indicare "un miscuglio di cose che non c'entrano l'una con l'altra". Pare tragga le sue origini dalla dominazione francese del capoluogo campano - letteralmente, mescolanza francese - e indicherebbe il "recupero degli avanzi sul fondo dei sacchi dei nobili" da parte dei meno abbienti, al fine di ricavare rabberciate zuppe e minestre di legumi o d'altro da quei resti.

Il Napoli, per non essere da meno, e per mano (e bocca) del suo stesso presidente Aurelio De Laurentiis, si è industriato per rinnovare tale pietosa e avita tradizione, al solo scopo di trasformare una tranquilla e felice situazione societaria e sportiva - quella venutasi magicamente a creare nell'anno dello storico, e già remotissimo scudetto - in un guazzabuglio pare senza vie d'uscita. Rimanendo nella metafora culinaria, ha trasformato un luculliano banchetto ricco di ogni bendidio in un desinare improvvisato e misero. Come ci è riuscito?

È bastato: allontanare, o meglio non saper trattenere, i due alfieri principali di quel meraviglioso successo, Spalletti e Giuntoli; non aver mosso un dito né attivato un neurone per sostituire a tempo debito quel Kim che - come detto a più riprese dallo stesso patron azzurro - si sapeva fin dal suo ingaggio che sarebbe andato via a fine stagione; sostituire il tecnico toscano, da cui si è subìto anche lo sbeffeggiamento della lacrimosa storia dell'amore paterno, per non parlare di quella altrettanto ridicola dell'anno sabbatico, con un altro profondamente diverso da lui sia sul piano tecnico-tattico che caratteriale; aver perso quasi subito il preparatore atletico Sinatti, con la logica conseguenza di ritrovarsi a campionato in corso giocatori "imballati" (parola usata dal presidente stesso) e alla costante ricerca di una condizione almeno dignitosa; aver sostituito Lozano con uno che ala non è (checché ne dica sempre il nuovo Manny Tuttofare partenopeo); aver inserito nello scacchiere di centrocampo uno come Cajuste che non sembra né carne né pesce; aver provato a rimediare a gennaio buttando nella mischia altre due ali (Ngonge e Traorè) e, dopo aver scelleratamente perduto Zielinski ed escluso Demme che si continuano a pagare fino al 30 giugno, aver ingaggiato Dendoncker che non è né bravo, né giovane, né fidelizzato, né di proprietà (eventualmente da riscattare e manco a due spicci). Insomma, ogni ingrediente della nuova torta azzurra pare stia là per caso. Se non è una ammesca francesca questa, ditemi che cos'è.