C'è una questione che viene omessa o solo rimandata da un po' nella SSC Napoli ed è "a quale futuro affidarsi". Quello che dura qualche giorno o al più qualche mese, o quello che guarda a vere e durature programmazioni da pianificare con competenza e serietà e a nuovi e straordinari traguardi da conquistare con passione e abilità? Credo che neanche Aurelio De Laurentiis lo sappia, altrimenti non si spiegherebbero gli acquisti fin qui portati a casa nell'angusta - non per temporalità - e spesso solo onerosa finestra invernale del calciomercato.
Alla fine di dicembre i fatti dicevano senza alcun dubbio che il Napoli era in crisi. L'allenatore prescelto per rilanciarlo era però a tempo determinato. Presentava, infatti, i crismi del corto respiro - nella migliore delle ipotesi - se non addirittura di una inversione di tendenza che sapeva più di giravolta di tarantola che di nuovo e oculato corso. Con Walter Mazzarri si poteva contare su un tecnico serio, preparato, conoscitore della realtà partenopea e di questa (almeno a chiacchiere) innamorato, ma il suo ingaggio portava con sé anche il serio rischio di dover abbandonare prima o poi la strada tattica del 4-3-3 e tornare a quella antica e ormai ultradimenticata del 3-4-2-1.
Cosa puntualmente accaduta nella semifinale contro la Fiorentina, vinta con un risultato roboante, ma nient'affatto dominata sia in termini statistici che sul piano del gioco, e per di più con qualche mortificazione di troppo per calciatori (vedi Di Lorenzo) nati purosangue e finiti cavalli da soma. Insomma, si era partiti con il medico pietoso e si era finiti con la piaga gangrenosa. E il futuro? Senza Zelig-Elmas, tanto "utile" nell'anno dello scudetto con i suoi mille ruoli coperti in mezzo e ai lati del centrocampo azzurro, tanto amato da Spalletti e (forse proprio per questo) così frettolosamente e inaspettatamente dismesso alla prima occasione utile, con un Anguissa lento e annoiato e uno Zielinski deluso e criticato, un Demme (ingiustamente) abbandonato a sé stesso e un Gaetano mai davvero valorizzato, ciò che occorreva al Napoli erano giocatori che sapessero giostrare la palla con e per Lobotka, l'unico a provare a tenere il passo dei tempi nuovi.
E invece cosa si prendeva? Un cursore di (tutta) fascia e (altre) ali, come se non si credeva perfino che Kvaratskhelia, Lindstrom e Politano avessero un futuro all'ombra del Vesuvio. Se sono prove queste di un cambio profondo di uomini e tattica lo si dica una volta e per sempre e si ricominci daccapo. Ma dal basso, che lo si sappia.