In primo grado furono inflitti 14 anni di reclusione alla madre e 12 anni al padre. I giudici della Corte di Appello di Napoli hanno leggermente ridotto le condanne a 12 anni e 4 mesi per la donna e a 10 anni di reclusione per l’uomo, che rimane a piede libero. L’avvocato, Francesco Bonaiuto ha davanti ai giudici di secondo grado discusso il ricorso proponendo questioni di diritto. Questioni accolte in parte e dunque preannuncia di presentare, tra 90 giorni, il ricorso in Cassazione.
La condanna in primo grado
In primo grado fu concessa l’attenuante del vizio parziale di mente solo per il padre. Assolti per istigazione al suicidio con la formula “non costituisce reato”. La sentenza fu emessa dal gup Francesca Spella del tribunale di Avellino nei confronti della madre M.G e del papà G.D.A.
Le richieste
Il pubblico ministero Paola Galdo, al termine della sua requisitoria, chiese 16 anni di reclusione per la madre M.G. e 14 anni di reclusione per il padre G.D.A.
Le conclusioni della perizia psichiatrica
La madre M. G. era stata giudicata capace di intendere e di volere. Il padre G. D. A., invece era stata giudicato parzialmente capace di intendere e volere. Condizioni emerse dalla relazione del ctu Antonio Tomasetti richiesta dal gip del tribunale di Avellino, Francesca Spella, per stabilire se i due genitori di Aiello del Sabato - che lo scorso aprile furono denunciati con l’accusa di maltrattamenti nei confronti delle figlie e di aver sequestrato quella maggiore M.D.A. – erano in grado di affrontare il processo. La donna venne definita “sadica” dal ctu, “incapace di provare alcun tipo di rimorso”.
La ricostruzione della vicenda
La madre fu sottoposta alla misura cautelare in carcere, dove è tutt’ora rinchiusa, mentre per il padre scattò il divieto di avvicinamento alla casa famiglia e alle persone offese. La coppia accusata di aver maltrattamenti reiterati per anni nei confronti della 21enne M.D.A. Fin dall’età di 16anni anche per l’altra figlia F.D.A. iniziarono le vessazioni quotidiane con espressioni “schiava, serva” percuotendola a mani nude, tirandole i capelli, impedendole di frequentare la scuola e di trovare un lavoro, obbligandola a svolgere tutte le faccende domestiche e a badare i fratelli minori, ed impedendole di lavarsi. Ma il bersaglio preferito era M.D.A. che la madre quotidianamente, senza motivo alcuno, percuoteva con calci e pugni, talvolta anche con oggetti. In un’occasione con un cavo scart della televisione, sulla schiena, cagionandole delle lesioni. Inoltre la donna le impediva di mangiare i pasti a tavola, costringendola a mangiare da sola in piedi solo una volta al giorno. Diverse volte la ragazza avrebbe tentato di fuggire di casa, senza denunciare con la speranza che la situazione potesse migliorare. Una volta raggiunta la maggiore età la situazione è precipitata ulteriormente, in quanto veniva legata con delle catene ai polsi e alle caviglie del letto. La ragazza spesso veniva lasciata da sola, al buio, senza acqua e cibo, solo con un secchio per i suoi bisogni. Isolata non avrebbe avuto alcun modo di denunciare quanto subito per anni.
Le denunce della sorella
La sorella della vittima trovò il coraggio di denunciare tutto ai militari della locale stazione che, nell’aprile scorso, hanno messo la parola fine all’incubo della ragazza, dopo indagini serrate, svolte celermente e nel massimo riserbo. L’operazione dei carabinieri, fu portata a termine nella notte del 23 aprile e pose fine alle sofferenze patite dalla 21enne, ritrovata dai militari legata alla ringhiera delle scale dell’abitazione. Le indagini hanno poi permesso di ricostruire la triste storia di vessazioni, umiliazioni e maltrattamenti fisici messi in atto dalla madre – 47 anni – nei confronti della figlia. Per il padre, invece, l'accusa è di essere stato complice di tutto questo e di non essere intervenuto in difesa della figlia, colpevole di portare il nome di madre.