Avellino

di Osvaldo Sarnelli*

Quando venne dichiarata e riconosciuta Avellino capoluogo di provincia, era solo riportata con un decreto su un foglio di carta, ma non era ancora diventata tale.

Per renderla, occorreva installare quelle importanti attività pubbliche di natura provinciale che mancavano, come i Tribunali, l’Intendenza, il Carcere, la sede per le truppe militari ed altre attività pubbliche. Ma bisognava anche trovare le loro collocazione, come avvenuto in alcuni conventi soppressi.

Nel contempo, si rese necessario anche la realizzazione di strade di collegamento, non solo con i vari comuni ricadenti nel suo territorio provinciale, ma anche con le provincie e le regioni confinanti.

Il problema di realizzare le strade era già sentito nel periodo romano, percorse dall’esercito e per l’egemonia sui territori conquistati. Esperti nel realizzarle, ove la manutenzione era ridotta al minimo degli interventi.

Divenne dall’anno 1000 una necessita maggiore a realizzarle, non solo ai fini militari per il passaggio di truppe e armamenti, ma anche per avviare quei scambi economici, culturali, sociali, scientifici, che portarono a quel lento graduale progresso nei vari centri urbani che l’attraversavano.

L’usanza poi di piantare alberi lungo le strade, era già diffusa nel periodo romano, per ombreggiarle dal sole specialmente quei tratti rettilinei. Ed ecco che li troviamo in Viale Italia, il residuo di tutti quei bei platani che primeggiavano lungo il miglio, che dalla Porta di Napoli, in corrispondenza dalle due strade Mazzas-Matteotti, terminavano all’estremità del predetto Viale. Li possiamo rilevare, anche dalla prospettiva del Pacichelli del 1720, in corrispondenza della Porta di Napoli

La vera storia del Ponte

La strada che dal ponte della Ferriera conduceva a Piazza Libertà, risultò essere una strada in trincea, ossia all’interno di due banchi tufaci: da un lato quello sulla cui sommità si ergeva l’ex Convento di San Francesco e chiesa, , destinato in quel periodo a caserma militare, e sull’altro versante quello che conteneva in altezza i giardini dei Filidei e De Feo, nella zona ove attualmente si trova via De Santis e il Banco di Napoli, alle spalle dell’antico Teatro.

Dato poi che necessitava innalzare il ponte di circa 1.60 m, si presume che in quella zona dell’uscita del ponte, il terreno si presentava molto scosceso. Lo si può rilevare dai due ultimi progetti di collegamento col ponte, con via Ferriera e Piazza Libertà. Infatti si rileva nei due progetti, che non vi era un collegamento diretto, ma inizialmente, con percorsi curvilinei, per superare la ripidità di quei terreni nella zona del ponte.

Prima della realizzazione del ponte, il terreno in quella zona scendeva ripido verso il Fenestrelle. Lo si può constatare, attualmente, nella zona a destra dall’ingresso del ponte.

Per la costruzione del nuovo tratto di strada da Bellizzi ad Avellino, ove l’ingegnere Oberty era direttore dei lavori, venne stipulato il contratto di appalto con l’impresa Saverio Curcio il 6 luglio 1818.

E’ da evidenziare, che a Saverio Curcio furono appaltati anche i lavori per la costruzione del Carcere Centrale ad Avellino.

I lavori iniziarono il 17 agosto 1818, ma il Comune di Avellino non avendo la possibilità economica di sostenere la spesa di sua competenza, si era costretti a realizzare il progetto iniziale con l’uscita alla Puntarola.

La necessità di procedere al restauro dei resti

I suoi resti si rilevano ancora oggi, e pertanto il Comune di Avellino è tenuto a restaurarlo, essendo anch’esso un pezzo di storia. Inoltre col restauro del ponte della Ferriera, potranno realizzarsi dei percorsi obbligati, ricalcando quelli del passato, per permettere l’accesso pubblico a poter visitare anche questo monumento di circa due secoli, dimenticato negli itinerari storici di Avellino. Si potrebbero inoltre realizzare anche dei percorsi scolastici, sia lungo il Fenestrelle, che al ponte della Ferriera, ai fini di ricreare quell’attività storica-culturale-scolastica carente da tempo ad Avellino.

p.s. Le ricerche storiche non sono un avventura, perché richiedono decenni di conoscenza di un infinità di atti storici presso i vari archivi pubblici e di scritti di storici del passato. Richiede passione, amore, tempo, sacrifici, desiderio di ricerca. Queste, ed altre qualità riveste un vero ricercatore storico che lo impegna anche nelle ore piccole.

*Ricercatore storico