Avellino

di Paola Iandolo

Corruzione in atti giudiziari. Questa l’accusa contestata a nove nuovi indagati finiti sotto inchiesta dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, tra loro anche due avvocati del foro di Avellino. L’inchiesta bis ha preso il via dopo le dichiarazioni rese in aula da due teste che ad avviso degli inquirenti sarebbero state condizionate da un imputato (finito in carcere il 28 novembre) per agevolare il clan Partenio.
Ieri pomeriggio il pubblico ministero della Dda ha depositato tremila nuove pagine di un’informativa di reato che contengono le pesanti accuse anche nei confronti di due avvocati. Questo è quanto emerso nel corso dell’udienza del processo Aste Ok. Intanto è stato chiesto l’aggravamento della misura per un altro imputato per violazioni delle prescrizioni imposte nel periodo di detenzione domiciliare.
Le nuove iscrizioni nel registro degli indagati sono state determinate da ulteriori indagini partite dopo l’archiviazione del procedimento aperto a carico di tre carabinieri del nucleo investigativo di Avellino. 

Dagli ulteriori accertamenti patrimoniali ed economici effettuati nel luglio scorso sul conto dei tre indagati, gli inquirenti hanno ritenuto che i tre testimoni della Procura con le loro condotte abbiano agevolato il Nuovo Clan Partenio con consapevolezza pur perseguendo fini personali. In particolare gli inquirenti, grazie ad un lavoro di confronto di dati patrimoniali ed economici con le intercettazioni ambientali, sono riusciti a ricostruire le condotte dei tre nuovi indagati. Inoltre, gli inquirenti sostengono che i tre in aula – durante la loro escussione – avrebbero raccontato il falso volutamente. I tre riferirono che i carabinieri (iscritti nel registro degli indagati per falso, corruzione e violenza privata, posizioni archiviate il 28 giugno) avevano riportato dichiarazioni differenti rispetto a quelle rese realmente durante le indagini. Con una serie di “non ricordo” riuscirono a bypassare, momentaneamente, le domande scomode poste dal pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Napoli. Ovvero C.D.N in aula sostenne di non ricordare se avesse o meno consegnato del denaro all’imputato Gianluca Formisano (difeso dall’avvocato Taormina) per desistere dal partecipare ad un’asta immobiliare. C.D.N. riuscì ad aggiudicarsi i beni finiti all’incanto, ma l’indomani - stando all’accusa – versò 5mila euro a favore di Formisano.