Napoli

Tutto è cominciato quando un perfido francese, l'Alexandre Dumas (padre) di turno, dal nome rutilante di baci focosi e impareggiabili conquiste - Rudi - ma per tutto il resto del mondo - escluso quello svenevole e femminile di cui era stato di certo parte anche Aurelio De Laurentiis - semplicemente Garcia, ha scoperto che il Napoli che aveva appena vinto così sfolgorantemente uno scudetto, quel corpo unico di meraviglie e virtuosità, aveva un gemello, una mezza tacca, ubriacone e corrotto, viscido e approfittatore.

Il nostro maligno narratore ha pensato bene di sostuire il fratello nobile e buono con quello immorale e fasullo, trasformando così un avanzo di galera in un re. Perché riuscisse il misfatto doveva però celare al mondo intero il condottiero bello e intrepido, il saggio governante, l'uomo giusto, scaraventandolo in un tugurio senza fondo, il volto nascosto perfino ai suoi carcerieri con una maschera di ferro, la cui unica chiave fosse solo (e sempre) nelle sue losche mani.

Una volta compiuto il delittuoso disegno, il nostro nobilotto di campagna (francese) ha gettato nella mischia la controfigura vanesia e smidollata del Salomone che fu, tanto da presentare nei pubblici consessi al più la versione striminzita di uno statista, quando non era solo un portaborse. Si sa, è difficile trasformare un bifolco in un nobile signore, i modi prima o poi lo tradiranno, gli amici si dilegueranno, il popolo rumoreggerà e perfino chi aveva così astutamente pensato di dar vita all'inganno converrà che era meglio la strada dell'onestà - tutta ancora da dimostrarsi vincente - a quella del maleficio e della rovina, ormai certa.

E chi se non un novello D'Artagnan, anche se dal fisico più somigliante al Sancho Panza di Don Chisciotte o al Cico di Zagor, quel Walter Mazzarri da San Vincenzo di Livorno, con i suoi tre (anzi quattro) moschettieri - Nicolò Frustalupi, Gianluca Grava, Alejandro Rosalen Lopez e Giuseppe Pondrelli - per provare a smascherare (è proprio il caso di dirlo) l'orribile inganno, il livido tradimento, restituendo il trono al legittimo erede, il principe azzurro (riè il caso di dirlo), tanto ammirato prima e tanto agognato poi?

Sottratta in sonno la chiave del ferroso travestimento all'odiato transalpino, che tanto sopito ci stava molto più che desto, eluse le guardie più annoiate che feroci, l'autentico re era tornato alla luce del mondo, a dire il vero un po' acciaccato a inizio impresa, ma già si sperava in un pronto ritorno alla magnificenza che gli si addice.