Lui è davanti al pubblico ministero per la seconda volta. Lei, il suo corpo, da otto ore sotto i ferri degli anatomopatologi che ne stanno ricostruendo gli ultimi istanti di vita e le cause della morte. Giulia Cecchettin parla attraverso le terribili ferite che Filippo Turetta, al culmine di una lite a Vigonovo, in provincia di Venezia, le ha inferto uccidendola l'11 novembre scorso.
Venti rabbiosi fendenti: quello all'aorta fatale
Tantissime coltellate, in tutto più di 20, quelle che sono state contate sul cadavere di Giulia Cecchettin. Molte delle coltellate inferte da Filippo Turetta mentre la sua ex fidanzata era ancora viva: profonde, violente, rabbiose. Una furia che si è scatenata senza lasciare scampo alla ragazza quando la lama ha intaccato alla gola l'aorta: il dissanguamento è avvenuto in pochissimo tempo. Ma non subito. L'esame autoptico, che si è svolto all' istituto di Anatomia Patologica dell'università di Padova, sono stati effettati, oltre agli esami ematici, anche quelli radiologici come la Tac.
Sta vuotando il sacco
Intanto, Filippo Turetta, è da cinque ore seduto davanti al pm di Venezia Andrea Petroni che ha deciso di interrogarlo nel carcere di Verona, dopo le dichiarazioni spontanee rese due giorni fa al gip Benedetta Vitolo. Assistito dai legali Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, il 21enne sta dando la sua versione di quanto accaduto la sera dell'11 novembre scorso quando in due, se non tre, distinte fasi accoltella e si accanisce contro Giulia, prima di abbandonare il corpo della giovane studentessa vicino al lago di Barcis, a oltre cento chilometri da casa.
Le scuse dei carabinieri
"La giusta precisazione del Comando generale dei Carabinieri sul mancato controllo nel territorio di Vigonovo in relazione alla lite segnalata al 112 e solo successivamente collegata alla scomparsa e all'omicidio di Giulia Cecchettin, ha finalmente certificato, una volta per tutte, l'impossibilità per le forze dell'ordine di poter essere sempre tempestivamente efficaci. Questo perché, da sempre, le centrali operative devono 'priorizzare' gli interventi in base alle risorse disponibili". Lo ha dichiarato Roberto Di Stefano, segretario regionale Abruzzo e Molise del Nuovo sindacato carabinieri (Nsc).
"Provate ad immaginare se l'operatore invece di decidere quale priorità adottare mandasse una pattuglia per qualsiasi fatto segnalato. Quante pattuglie ci vorrebbero? E perché i Carabinieri di servizio alle centrali operative dovrebbero prendersi la responsabilità di non farlo e poi essere messi sotto accusa?".