Villamaina

Sullo strapiombo che si affaccia sul lago di fango della Mefite di Rocca San Felice, oltre la fascia costituita da una graminacea tipica dei termosuoli (Agrostis monteluccii), cresce con molta sofferenza Genista anxantica Ten..
Ma cos’è la Mefite? Virgilio aveva ragione: è una via che conduce negli inferi, una frattura della crosta terrestre attraverso la quale si giunge nel cuore della Terra. Da questa faglia risalgono con violenza i gas sotterranei realizzando nel laghetto una sorta di effetto idromassaggio. Quando la terra si dissecca completamente e l’acqua del ruscello scompare, dal cratere si ode il rumore infernale di un potente soffione e l’ambiente diventa ancor più inquietante. Respirare i gas è pericoloso perché l’individuo non comprende quando è il momento di mettersi in salvo. Tutta l’area è pericolosa in quanto le emissioni non provengono solo dal cratere principale, io stessa mi son trovata chinata a fotografare un “fosso” brullo, accorgendomi solo in un secondo momento che si trattava di un cratere attivo.

In verità, una cagnetta del luogo che mi accompagna ad ogni ritorno, mentre scendevo nel letto del torrente, mi abbandonò e tornò sui suoi passi lungo lo strapiombo, aveva avvertito il pericolo perché i gas venefici tendono a depositarsi in prossimità del suolo. L’amore per questo luogo è cresciuto ulteriormente in me quando, studiando la flora del territorio, ho fatto una scoperta molto importante dal punto di vista botanico: la ginestra che oggi è definita sinonimo di Genista tinctoria, (e di questo è convinto gran parte del mondo accademico) è erroneamente giacente in sinonimia con questa specie con cui non condivide né habitus né caratteri sessuali o esigenze.
La Ginestra dell’Ansanto prese il nome dall’illustre botanico Michele Tenore, egli la descrisse nel suo trattato “Flora napolitana” nel 1821come Genista amsanctica spiegando che “Da una ceppaia legnosa nascono molti fusti che compongono un bel cespuglio alto circa due piedi; i rami sono angolati, si spandono in giro, e sono per la maggior parte diffusi e divaricati (…)”.

Nello stesso trattato il botanico parla di un’altra entità, Genista tinctoria L., ginestra comune in Alta Irpinia soprattutto nei boschi prossimi di Torella e dei Monti Picentini. Ma a scoprire la presenza della ginestra pare sia stato Giovanni Gussone di Villamaina che comunicò al Tenore le informazioni sulle caratteristiche morfologiche e consegnò dei campioni conservati presso l’Erbario di Napoli. Il maestro poi, le utilizzò nella sua “Flora napoletana” in cui compare per la prima volta col nome completo di Genista anxantica Ten.
Una piantina venne più tardi inviata al Royal botanic garden di Kew (GB) e in coltivazione si dimostrò adatta, secondo quanto riportato in seguito dagli autori Bean e Taylor nelle varie edizioni di “Trees e schrubs hardy in G.B.” alle condizioni spesso estreme tipiche del giardino roccioso.


Passarono degli anni, un secolo, e Genista anxantica Ten. fu citata ancora da Adriano Fiori, botanico modenese a cavallo dell’Ottocento e del Novecento, nella sua “Flora italiana”, come sottospecie di Genista tinctoria.
In anni più recenti, in seguito ad una revisione del genere Genista, si arrivò ad una semplificazione (riportata sia da Zangheri che da Pignatti), sinonimizzandola a Genista tinctoria ssp. Tinctoria.
Si optò per questa soluzione altamente pericolosa per la sopravvivenza della nostra ginestra ma, questo forse perché, dopo il Gussone, mai nessun esperto ha più osservato da vicino la pianta.

La nostra ginestrella, dunque, si ritrovò senza certificato anagrafico, improvvisamente definita sinonimo della comunissima Genista tinctoria. Scomparsa dai database come specie, oggi esiste solo fisicamente con gran rischio di estinzione.
Anni fa, scienziati irlandesi si occuparono della flora del luogo, in quel caso la loro attenzione era volta verso una graminacea che identificarono come Agrostis canina, ma che in realtà è la molto meno comune Agrostis Monteluccii. Perché gli Irlandesi confusero le due entità? Eppure la differenza è inequivocabile! Forse visitarono il luogo in un periodo dell’anno in cui la spighetta era assente? Forse chissà? Eppure questa rara graminacea è l’unica presente in queste condizioni, è la stessa che vive nel sito della Malvizza a Montecalvo Irpino e in altre stazioni dell’Emilia. E perché non osservarono la ginestra? Dall’articolo comparso sul giornale “New Phytologist” si evince che gli Irlandesi erano interessati alla reazione delle piante alla salinità del suolo ma non viene citata affatto la ginestra. Perché non si interessarono a questa pianta legnosa che vive dove nemmeno la monteluccii arriva, così prossima al cratere, l’ultima vita vegetale e poi il nulla della terra grigia, salata, e i miasmi pestiferi del bulicame?


Attualmente, in un articolo scientifico “Phytologist, An inventory of the names of vascular plants endemic to Italy, their loci classici and types”, pubblicato nel 2015 da Magnolia Press, e redatto dai migliori nomi delle facoltà di botanica in Italia, manca il nome di Genista anxantica Ten pur trattando 1400 piante endemiche di tutta la penisola e delle isole.
Personalmente convinta dell’unicità della ginestrella ho iniziato a studiarla in ogni momento vegetativo unitamente alla flora circostante, tornando periodicamente in loco. Son sempre più convinta che le due ginestre sono assolutamente diverse nell’habitus, nelle esigenze e soprattutto nella capacità di resistenza all’acidità dell’aria e alla salinità del suolo. L’una è frutice l’altra suffrutice, l’una glabra l’altra tomentosa, l’una prostrata l’altra eretta, ecc. Gran fortuna ho avuto nel suscitare l’attenzione di alcuni dei migliori botanici nazionali e di due associazioni  varesotto, “Amici del Bosco”, ed “ECO '90”, che con una sorta di museo-giardino botanico, cercano di salvare le piante in via di estinzione. Consultandoli, ho capito che l’impresa è ardua, occorre denaro per gli esami di laboratorio e competenze internazionali che possano attestare l’unicità della pianta quindi riabilitarla al rango di “Specie”.

Queste difficoltà mortificano e potrebbero non condurre ai risultati sperati, se non è riabilitata non si può difendere, non si può parlare di una entità che non esiste, che non ha carta di identità, si può però sensibilizzare l’opinione pubblica locale diffondendo conoscenza. Se Genista anxantica sarà riconosciuta almeno localmente avrà più possibilità di esser protetta. Le amministrazioni, il popolo, gli Irpini devono essere messi al corrente che hanno un pugno di arbusti, all’incirca diciannove, presenti solo in Irpinia, e solo nella valle dell’Ansanto, un fenomeno di endemismo unico in Italia, ristrettissimo al cratere della Mefite. Una carta vincente per le piccole comunità che ormai si aggrappano agli specchi per sopravvivere, un’attrattiva di carattere internazionale.
Per noi della Grande Madre, invece, sarebbe un successo differente, avremo salvato dall’estinzione gli ultimi esemplari di  una creatura magnifica che ha il coraggio di vivere dove nessun altro è capace e questo aprirebbe un altro capitolo di studio.

 

Franca Molinaro