Napoli

Si tornava dove tutto era cominciato, alla partita contro il Milan dello scorso campionato, a quella pesante e inaspettata sconfitta, peraltro a scudetto già acquisito. Per la verità, e a dirla tutta, a quella sfida ne erano seguite altre due, non proprio e non esattamente delle rivincite, almeno non in termini di risultato, che avevano escluso gli azzurri dalla conquista della Champions, a cui forse pure avrebbero potuto legittimamente aspirare.

Aurelio De Laurentiis ha più volte ammesso, talora sfacciatamente come sa fare solo lui e talaltra tra le righe, che quella era stata la madre di tutte le discordie con Luciano Spalletti - benché io ci creda poco - da cui sarebbero poi seguiti molti degli eventi, a quanto pare ineluttabili, che hanno portato il tecnico toscano ad andare via da Napoli, lasciando cosi squadra e tifosi nella condizione in cui attualmente, e loro malgrado, versano. Quel trauma abbandonico sembra ancora irrisolto, nella testa come nei cuori soprattutto dei calciatori, e certamente pesa sul giudizio che tutti noi diamo di Rudi Garcia e del suo staff. Ma non è tutta farina del nostro sacco, però. Anche l'allenatore francese in questi quattro mesi ci ha messo molto del suo, e continua puntualmente a farlo, come accaduto anche in occasione della conferenza stampa di presentazione della partita contro i rossoneri.

Al di là delle oziose statistiche che cita a ogni piè sospinto sui pochi tiri subiti a dispetto dei troppi gol presi e sugli innumerevoli tiri fatti a fronte dei pochi gol realizzati, sul possesso palla e (perfino) sui corner, resta la costante impressione di una "ingerenza inapparente" dell'ex Roma sugli equilibri tattici e tecnici della squadra e, ancor di più, sulle motivazioni personali e sulle passioni "rivoluzionarie" di ciascuno dei componenti del suo team. Quello poi che mi ha personalmente più sconcertato (e scoraggiato) è stata la sua esaltazione dei singoli - un caso emblematico è quello che ha detto di Kvaratskhelia la cui crescita è a suo dire indipendente dalla presenza di Mario Rui, fino a due partite fa proprio da lui immeritatamente accantonato - rispetto al valore globale di un gruppo unito, unico fattore vincente per le grandi imprese e i grandi riscatti. Sarà anche vero che un giocatore - il georgiano in particolare - può fare la differenza, ma è nell'amalgama che trova la sua esaltazione, è nella crescita e nella felicità dei suoi compagni che trova la sua piena realizzazione. Se Rudi Garcia non lo sa - e a 60 anni poi - cambi mestiere. O solo città.