Benevento

Quella accusata nei giorni precedenti alla mattina del 6 ottobre, quando era stato colpito da un infarto, era probabilmente una forma di angina instabile. E ancora: anche se fosse intervenuto il 118, non si può dire che si sarebbe salvato. Sono state queste, in soldoni, le conclusioni alle quali sono giunti, incalzati dalle domande della difesa – gli avvocati Angelo Leone, Vincenzo Regardi e Fabio Russo-, i due specialisti ai quali il giudice Fallarino aveva affidato il compito di eseguire una perizia nel processo a carico di due medici che, operando presso la casa circondariale di contrada Capodimonte in base a una convenzione con l'Asl, sono stati chiamati in causa nell'indagine sulla morte di un detenuto, Agostino Taddeo, 59 anni, già noto alle forze dell'ordine, avvenuta il 13 ottobre del 2016 al Rummo.

Entrambi sono comparsi oggi in aula, al pari di un consulente della difesa, dopo il deposito del loro lavoro, nel quale avevano sottolineato la mancata attuazione di un protocollo entrato invigore, ha precisato la difesa, nel gennaio del 2022, e “la mancata disposizione del trasferimento del detenuto presso una struttura ospedaliera hanno sottratto al Sig. Taddeo la possibilità di una precoce diagnosi della sindrome coronarica acuta e delle conseguenze emodinamiche e, quindi, di prevenire il decesso con un idoneo approccio terapeutico erogato in tempi adeguati”. Il processo si chiuderà il 19 febbraio con la discussione delle parti e la sentenza. Per i familiari della vittima, parti civili, gli avvocati Vincenzo Sguera e Luca Russo.