Napoli

“Una cagata pazzesca”, nel meraviglioso “Secondo Tragico Fantozzi” veniva definita così la Corazzata Kotiomkin, rimando alla corazzata Potemkin che il professor Guidobaldo Maria Ricciardelli costringeva i suoi operai a guardare.
Seguirono 92 minuti di applausi all'esclamazione del ragioniere. 92 più altri 92 minuto più minuto meno di applausi scroscianti meriterebbe chi lo stesso giudizio lo dà del concetto di “overperforming” applicato al calcio.


Una scemenza che negli ultimi anni, purtroppo, si è costretti a subire di volta in volta per ogni impresa calcistica non troppo random: il Milan vince lo Scudetto? “Eh, ma ha overperformato”.
L'Italia vince gli Europei? “Gli uomini di Mancini hanno overperformato”. Il Napoli di Spalletti devasta un campionato e vince lo Scudetto? “Gli azzurri hanno overperformato”.
E così per Osimhen che vince la classifica cannonieri, per l'Inter che arriva in finale di Champions, per Rabiot e per qualsiasi cosa abbia fatto più o meno bene nel periodo precedente.


Si può discutere che il Milan scudettato di Pioli abbia approfittato dei passi falsi della più attrezzata Inter, che all'Italia di Mancini sia andata di culo per averla sfangata ai rigori contro Spagna e Inghilterra, che l'Inter abbia approfittato di un tabellone favorevole in Champions e che Osimhen fosse in un periodo di forma smagliante propiziato dalla capacità di Spalletti di mettere tutti i tasselli al loro posto ma tutto ciò ha un solo, semplice, ed evidente significato: l'overperformance non esiste.
Esiste la performance, o meglio la prestazione che non bisogna per forza trovare un termine inglese per concetti facilmente spiegabili in italiano. E la prestazione può essere positiva o negativa, agevolata o meno dall'errore altrui, suffragata dal lavoro fisico del singolo o collettivo e dalle capacità di coordinare quel lavoro da parte di altri. Ma qui siamo alla scoperta dell'acqua calda: è il calcio che determina queste dinamiche da sempre, e per la verità lo sport in generale dove ci sono vittoria, sconfitta, traguardo e avversario. Ma l'acqua calda esiste, l'overperformance no: è un concetto e un termine buttato lì a caso per (non) spiegare qualcosa se non se ne he la capacità.

E allora, nell'ultimo caso di specie, ecco che per spiegare il crollo del Napoli di Garcia si tira fuori la moda del momento “l'overperforming” ed ecco che il coffee break al bar (per restare agli inglesismi) è bello e che fatto.
Sciocchezze, immani, come quando nei convegni si dice che un posto “può vivere di turismo” come se esistessero davvero posti che vivono solo ed esclusivamente di turismo.
Si può dire, in maniera sensata e convinta, che tre prestazioni di Champions come quelle contro Liverpool (4 – 1), Ajax (6 – 1) e Rangers di Glasgow (3 – 0), con calciatori che si muovono come orologi svizzeri fossero overperformance? No, è lavoro, coordinamento, disciplina, studio...non è certo un rigore che finisce sul palo o dentro, roba di centimetri.

La crisi del Napoli di Garcia non è il ritorno alla normalità di una squadra che ha overperformato: è una somma di scelte sbagliate, da Garcia come dalla società, che ha generato un rendimento inferiore dei calciatori, una involuzione delle prestazioni della squadra e l'insofferenza dei singoli, che passano da un periodo in cui gli veniva tutto bene (grazie al lavoro svolto)a uno in cui non sanno cosa fare.
Insomma, non è che avevano preso la stella di Super Mario e poi l'hanno persa tornando piccolini: è frutto di scelte, altrui come probabilmente anche loro.
Magari torneranno a funzionare come un orologio svizzero, magari no, magari andranno via e magari resteranno, ma non cambia il succo: l'overperformance non esiste, è una sciocchezza, esistono le scelte, semplicemente.