Napoli

Giovedì 12 ottobre nell'Aula Magna dell'Università di Napoli Federico II dalle 10 alle 12 si svolge il convegno organizzato dalla Fondazione Muto ETS e il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università su: "La sanità italiana: omogeneità e differenziazione" con cui si intende affrontare il tema dell'autonomia differenziata, mettendo in luce le potenziali ripercussioni che essa può avere sugli assetti del sistema sanitario italiano.  

Ad aprire i lavori della giornata Roberto Muto, Presidente della Fondazione Muto ETS, Vincenzo De Luca, Presidente della Regione Campania, Gaetano Manfredi Sindaco di Napoli, Matteo Lorito rettore dell'Università Federico II e Bruno Zuccarelli Presidente dell'Ordine dei Medici di Napoli.  

I contributi tecnici si concentrano su questioni decisive per il prossimo futuro e che stanno alimentando un acceso dibattito a livello scientifico, tecnico e politico. Particolare attenzione è riservata alle criticità emerse nell'attuazione dell'art. 116, co. 3 della Costituzione, in relazione alla tenuta del principio di eguaglianza, della coesione territoriale e della garanzia dei diritti fondamentali.

Due sessioni per affrontare i temi caldi della politica sanitaria italiana

Due le sessioni previste: quella mattutina, intitolata "Servizio Sanitario Nazionale e differenziazione", è presieduta e introdotta da Sandro Staiano, Presidente dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti e Coordinatore dell'Osservatorio sul Regionalismo Differenziato. Le relazioni inquadreranno i profili ordinamentali del regionalismo differenziato, con riferimento al settore della sanità.

“Il settore sanitario è quello che corre i maggiori rischi di disarticolazione, con la conseguente perdita dei suoi caratteri connotativi che, oltre ad aver retto a lungo, lo hanno reso migliore di altri in Europa - spiega Staiano - Frammentando il SSN, attraverso un eccesso di ruolo riconosciuto alle Regioni, o ad alcune Regioni, perderemmo numerosi vantaggi. Il settore della sanità, in passato, è stato già ampiamente segnato dalla dislocazione di potere verso le Regioni e questo processo non ha dato sempre i frutti sperati. Attraverso l’autonomia in materia sanitaria è stato possibile per alcune Regioni di perseguire proprie politiche sanitarie, di puntare tutto sulle privatizzazioni dei servizi e di indebolire in maniera consistente  la medicina territoriale, con conseguenze molto gravi per il SSN. Consideriamo, ad esempio, quanto è accaduto in Lombardia durante la pandemia, dove il sistema, più che in altre realtà, non è stato in grado di reggere l’impatto del Covid. Oggi, un’ulteriore dislocazione dei poteri sarebbe incomprensibile”.

La sessione pomeridiana, intitolata "Il futuro del servizio sanitario: visioni a confronto" è moderata da Ottavio Ragone, direttore de "La Repubblica Napoli".

Tra gli esperti di diverse discipline che interverranno ai lavori, Renato Balduzzi, Professore ordinario di diritto costituzionale e di diritto pubblico comparato all'Università Cattolica del Sacro Cuore e già Ministro della Salute dal 2011 al 2013, che nel suo intervento cercherà di rispondere alle domande: “Sino a che punto la sanità è differenziabile giuridicamente nei diversi territori regionali senza che venga leso il diritto alla salute? L’esistenza dei Lea, i livelli essenziali di assistenza sanitaria, e le loro specificazioni nei decreti sugli standard ospedalieri e su quelli territoriali, sono garanzia sufficiente per la sopravvivenza del Servizio sanitario nazionale?”.

Anna Maria Poggi, professore ordinario di diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Torino, affronta invece le prospettive della differenziazione e spiega come questa possa diventare rischiosa, soprattutto per alcune regioni, in assenza delle giuste premesse.

“Le due Regioni che hanno chiesto l’autonomia differenziata sono Veneto e Lombardia, ed entrambe si trovano nel primo quartile di garanzia dei livelli essenziali di assistenza. Ciò significa che, secondo i dati riportati nel Report GIMBE 2023, riescono a garantire ai residenti sul loro territorio quasi il 90% dei livelli essenziali di assistenza previsti a livello ministeriale. Se viene meno la leva centrale della redistribuzione da parte dello Stato vi è da chiedersi quali garanzie avranno i cittadini delle Regioni che riescono a soddisfare il 60% o meno dei livelli assistenziali. Tra queste vi sono la Puglia (67,5%), la Valle d’Aosta (63,8%), la Calabria (59,9%), la Campania (58,2%) e la Sardegna (56,3%) - continua Anna Maria Poggi. - Come lo Stato potrà allocare risorse alle Regioni che, al momento, forniscono poco più del 50% di servizi di quanto invece dovrebbero garantire? Il d.d.l Calderoli è condivisibile, dunque, nella parte in cui subordina il regionalismo differenziato alla fissazione dei livelli essenziali, ma rimane il tema delle risorse con cui questi si finanzieranno”.

(Nella foto: Renato Balduzzi e Roberto Muto)