Salerno

“Vita-Fede”. Il credente diffonde “Cultura-Umana” (A cura di D. Giuseppe Morante)

Il rapporto tra il Vangelo e la Vita umana, per noi cristiani, è il tema esistenziale e decisivo per l’uomo di tutti i tempi, ma oggi per molti credenti si sta affievolendo. I valori proposti come verità dal vangelo e che rispettano la dignità della vita umana devono testimoniare fedelmente e con cosciente libertà il proprio modo di vivere, per orientarne gli altri ai valori umani corrispondenti al criterio della rivelazione divina, detta storia della salvezza narrata dalla Bibbia.

In ogni epoca, e secondo l’evoluzione della storia umana, ogni uomo creato a immagine di Dio dovrebbe rispettare questi valori comuni che nascono dallo stesso atto creativo

Si evidenziano i tre nuclei fondamentali:

- “essere custode attento della natura”, sede della vita umana e delle persone che sono “figli e figlie dell’unico Dio, Creatore e Padre”. Questo punto è oggi il primo problema ecologico da recuperare per sperare di continuare la storia umana con la salvezza del creato (la terra e l’uomo), che sta soffrendo una malattia mortale: con la morte della natura muore l’umanità;

- “sentirsi debitore senza pretese” nei confronti degli altri piuttosto che ritenersi creditore con interessi; è l’insegnamento di Gesù nella parabola dei lavoratori della vigna;

- “costruirsi come restauratore” dei legami nelle relazioni interrotte o conflittuali… La relazione umana si colloca in questa scala di valori: l’io e la natura, l’io e gli altri, l’io e Dio.

1. Il primo incontro mensile di quest’anno sociale, riguarda il significato di cultura: che cosa si deve intendere per cultura secondo il vangelo nel rapporto fede-vita. Il Vangelo presenta un Gesù in mezzo a tante persone con una valenza sapienziale e culturale umanamente straordinaria. In un mondo dove si smarriscono i valori umani diventa punto di riferimento basilare e sicuro. Gesù, Verbo fatto Uomo, è venuto per unirsi in certo modo ad ogni figlio di Dio ed abita in mezzo agli uomini per fare di ciascuno e di tutta l’umanità una creazione rinnovata. Ha portato sulla terra la civiltà della sapienza infinita ed eterna con la trasmissione di ideali umani, indicandone la strada per raggiungerli, e descrivendone le condizioni perfezionanti per la riuscita. La sua vita e la sua parola sono annuncio di luce, di beatitudine, di pienezza di vita. “Io sono la luce del mondo: chi segue Me avrà la luce della vita” (Gv. 8,12); “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv. !5,11): perché “Chi trova Me, trova la vita” (Gv. 14,6). Con le parole luce-gioia-vita Gesù vuol dire tutto ciò a cui l’uomo vuole e desidera essere; intende proporsi come artefice di nuova umanità nel senso integrale. Da allora l’uomo che vuole realizzarsi ha un aiuto efficace ed inimmaginabile, come solo un Dio competente in umanità (in tutte le espressioni) è in grado di darle. Gesù si ricorda dell’identità di colui che era stato creato - l’uomo - e identificandosi con lui con la sua carne (= umanità) riporta la creatura ad una dignità altissima. Nessuno aveva mai amato concretamente così. Perché si deve pensare che il Vangelo sia soltanto una verità spirituale. Gesù non serve solo dai tetti in su, mentre dai tetti in giù il mondo va lasciato da solo in balìa di chi non è in grado trovare orientamenti sicuri e armonia di esistenza. Il Vangelo è la parola più concreta che c’è, perché Gesù è il Dio fatto bambino, che si tocca; è il Dio che è cresciuto e diventato adulto, uomo, con una mente, con un’intelligenza piena della divina grandezza. Appare come l’Uomo Perfetto che “ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo”. Nessun maestro è più sapiente di Lui; nessun sociologo più grande di Cristo; nessun psicologo più competente di Lui; nessun artista più intuitivo di Lui. È la Verità che contiene e supera le parziali verità. Gesù illumina tutta l’umanità che è fatta varie razze, lingue, colori e culture, che sono i tipici modi di vivere di ciascun popolo.

2. Che cosa è cultura? La cultura è ciò che determina la fisionomia di un individuo e di un popolo; è ciò che caratterizza la personalità collettiva che acquista un determinato ambito sociale quando i suoi membri concretizzano il loro rapporto con la natura, con gli altri uomini, con Dio. È lo stile di vita comune che caratterizza i diversi popoli o le varie aggregazioni: perciò si parla di pluralità di culture. Essa abbraccia la totalità della vita di un popolo: il complesso dei valori che lo animano e dei disvalori che lo debilitano e che essendo condivisi da tutti i membri li riunisce in base ad una stessa coscienza collettiva. La cultura abbraccia pure le forme attraverso cui quei valori o disvalori si esprimono: i costumi, la lingua, le istituzioni, e le strutture della convivenza sociale. In altre parole per conoscere la cultura di un determinato ambito ci si fa delle domande. Come concepisce quella determinata gente la vita familiare (come si vivono i rapporti uomo-donna, padrifigli, sessualità-responsabilità, amore-impegno corrispondente...); come la persona vive i rapporti di amicizia, di parentela; la sofferenza, il lavoro, l’impegno educativo, il divertimento, lo sport, la salute e la malattia, l’amore alla propria terra, la morte, il rapporto con gli antenati; quale senso prevalente dà alla vita (pragmatico, contemplativo, consumista, edonista, fatalista...); come esprime socialmente i rapporti economici; quali immagini si fa di Dio e quali rapporti ha con Lui... Tutto questo produce mentalità, genera usanze, costruisce stili di vita, criteri di valutazione, maniere di convivere, forme di reazione, relazioni con altre realtà vicine o lontane: è tutto questo insieme di comportamenti che costituiscono la personalità di una popolazione, il suo stile di vita, la sua coscienza collettiva: tutto questo con un termine globalizzante si chiama cultura. La cultura è l’espressione dell’uomo, è la conferma dell’umanità. L’uomo la crea e mediante essa l’uomo crea se stesso. Egli crea se stesso con lo sforzo interiore dello spirito, del pensiero, della volontà, del cuore. E crea la cultura in comunione con gli altri uomini come espressione del pensare insieme, collaborare insieme: diventa il bene in cui le comunità umane si riconoscono. Mediante la cultura l’uomo accede sempre più profondamente all’intera misura della sua umanità. Ne consegue che nel mondo, per le diversità delle razze, non esiste una sola unica cultura. Gesù allora non può essere presente pienamente oggi all’uomo e tra gli uomini senza il confronto con queste culture. Essenziale diventa il rapporto tra la fede e la cultura. La fede crea il bisogno di entrare nella cultura illuminandola dal suo interno, per metterla a confronto coi valori umani comuni di tutti gli uomini creati da Dio, ma rispettandone le forme specifiche. Fare cultura piena è dare all’uomo una dimensione umana e divina, è offrire e comunicare all’uomo quella umanità e quella divinità che sgorgano dall’uomo perfetto che è il Cristo.

3. I rischi dell’uomo d’oggi delle diverse culture, spesso globalizzate dai media universali, evidenzia la necessità di non affidarsi passivamente alle ricette pronte della cultura fornite dalle ideologie che lo attraggono, per impegnarsi nella riflessione personale sui problemi fondamentali, e maturare scelte responsabili e costruttive. Bisogna portare l’intelligenza al vero, perché non soccomba alla malattia di un relativismo mortale; portare la volontà al bene sottraendola alle suggestioni di un libertarismo inconcludente e vuoto; condurre l’uomo intero alla oggettività dei valori, contro ogni soggettivismo che, nonostante le apparenze, è tutt’altro che affermazione della dignità originaria dell’uomo. Una attenta lettura del mondo in cui siamo raccolti interpella profondamente il pensare del credente in un processo continuo di conoscenza e di amore che faccia cadere ciò che non ha valore e rimanere in piedi solo la verità. Una serie di problemi richiede il confronto con l’uomo Gesù descritto nella Bibbia.

Non sono infatti alienanti alcuni spaccati della vita d’oggi ed alcuni usi indiscriminati della scienza non certamente a favore dell’uomo? È proprio tutto progresso ciò che viene presentato come conquista? La ricerca affannosa dell’avere non risulta talvolta a scapito del saper esistere? Le situazioni di assurdo e angoscia derivanti dalla perdita del senso di esistenza non richiedono nuova luce e nuova speranza? L’interesse egoistico e di parte non spegne tante volte la necessaria solidarietà? Non sentiamo forse il bisogno di riconsiderare la sorte divina del disegno dell’uomo che faccia trovare sentieri nuovi tra tanti enigmi incomprensibili, alle incognite, alle tortuosità, alle confusioni di pensiero e di valutazioni? Non ci si rende conto del mondo giovanile, più degli altri, sottoposto a correnti edonistiche che esasperano i suoi istinti e lo affascinano con le illusioni di un consumo d’ogni tipo senza discriminazioni?

L’opinione pubblica oggi si trova impotente, soprattutto in Occidente, perché manipolata da suggestioni ingannevoli di una potente pubblicità che ha bisogno invece di essere valutata da valori critici e vigilanti… È per questo che il rapporto fede-cultura è determinante, perché è nella fede che è dato all’uomo l’arricchimento ed il fascino del pensiero di Cristo (Io sono la verità) e il profilo autentico della propria identità: è la cultura che realizza l’uomo che ha il compito di accoglierlo ed incarnarlo. C’è un bisogno di fede da parte della cultura ed un’esigenza di cultura da parte della fede.

4. Ad una Chiesa in grado di recuperare pienamente un rapporto costruttivo con la società si aprono potenzialità enormi per collaborare alla crescita collettiva della società. Il 38% degli italiani si aspetta che la Chiesa con i suoi singoli fedeli abbia un ruolo profetico nella società; deve cioè mettere a frutto quei talenti latenti che ha, ma che usa molto poco, e anche correndo il rischio di qualche contaminazione: - la Chiesa, per quanto indebolita, è ancora il più diffuso spazio relazionale del Paese e l’Italia ha bisogno più che mai di riscoprire la relazione umana e cristiana; - la cultura cattolica ha uno spirito “costituente” nella costruzione del bene comune. Bisogna rilanciare questo spirito, riscoprire il destino comune che lega Chiesa e società; - l’etica è sempre più spesso a rischio di “formalismo”, punta sul consenso, sull’adesione formale a certi valori, piuttosto che ad una reale conversione dei comportamenti; la cultura cattolica ha gli anticorpi, per lunga frequentazione, contro il formalismo “di facciata”. In una società sempre più vittima dell’individualismo, i richiami a tornare al “noi”, rischia di rimanere solo uno slogan; la cultura cattolica centrata sull’identità delle persona può superare l’individualismo non tanto con un ritorno indietro, ma dando completezza relazionale all’Io, il quale nella relazione positiva con l’altro realizza pienamente sé stesso. Per questo motivo una riflessione tutta interna alla Chiesa, oggi sarebbe infruttuosa la vita stessa della Chiesa se non si vivesse questa tra i suoi membri, e se non se ne desse testimonianza al Mondo. Mettere un piede fuori dal suo recinto aiuterà la Chiesa a non cadere nel vuoto e permetterà alla società intera di riconoscerla e forse di imitarla in quella presa di coscienza per cui nessuno si salva da solo. Per cui i credenti non devono ricercare la loro identità guardando soltanto all’interno della Chiesa, perché il terreno in cui essa ha seminato nel passato è molto più vasto ed è lì che deve continuare a cercare di portare frutto. È il tempo per raccogliere e per rimettere insieme; raccogliere i frutti seminati nel passato e germogliati anche in terreni imprevisti. Frutti come la promozione umana, la centralità della persona, l’importanza della relazione con l’altro… Sono tutti elementi figli della cultura cattolica, ma radicati e diffusi nel Paese molto più di quanto le statistiche possano rivelare. 4 Bisogna ritrovarli, ricomporli con l’umiltà di chi raccoglie i resti di una moltiplicazione che qualcun Altro ha compiuto, ordinando poi che nulla vada perduto, e ricomporli nel presente.

5. Per concludere. Quali valori culturali dobbiamo difendere in una politica più umana e più sociale. La nostra gente ha bisogno di realizzare la promessa di una vera felicità, non quella indicata dalla società del consumo, che invece è miseramente fallita. Verifichiamo: disoccupazione crescente, povertà diffusa, saccheggio del pianeta e minacce agli ecosistemi. La globalizzazione del consumismo si rivela un fiasco che neanche i più critici avevano osato immaginare, che procede selettivamente, escludendo ampi segmenti di economia e società dai network mondiali attraverso i quali circolano invece informazione capziose di benessere e di potere. In questo nuovo processo sociale alcuni popoli e territori restano inevitabilmente tagliati fuori perché, nella prospettiva degli interessi dominanti, finiscono per essere irrilevanti. Sono i così detti buchi neri del capitalismo: regioni e ambiti sociali che sembrano non trovare via di scampo di fronte alla forza distruttiva della planetarizzazione provocata e pubblicizzata dai media, accomunati dalla povertà, dal degrado e dall’oblio. Di fronte a questa tendenza sempre più irreversibile, le uniche chances sono poste nella speranza cristiana della mobilitazione sociale, attraverso la quale costituire una propria identità di resistenza nei confronti del livellamento a cui andiamo incontro, e la lotta per la salvaguardia degli aspetti della nostra esistenza più a rischio nell’epoca che stiamo attraversando. La globalizzazione, infatti, nel suo progressivo affermarsi, ha inciso negativamente dal punto di vista ambientale, distruggendo l’equilibrio degli ecosistemi; dal punto di vista culturale, condannando alcuni popoli a vedere snaturati e ibridati a scopo commerciale il proprio immaginario e le proprie tradizioni, ad essere assoggettati e sfruttati in forme di semi-schiavitù, a non veder riconosciuta la propria identità e dignità etnica; dal punto di vista economico, attraverso la sempre più grave sperequazione tra ricchi e poveri, e il progressivo allargarsi del gap tra nazioni dominanti e dominate. In questo primo quarto del secolo XXI il panorama politico, sociale ed economico - e quindi quello globalmente culturale - si sta completamente mutando, ma le istituzioni internazionali non riescono a risolvere i problemi creati dalla globalizzazione. Analizzando le nuove disuguaglianze sociali e la progressiva scomparsa del ceto medio, il declino industriale e la conseguente perdita di posti di lavoro, si evidenzia una urgente necessità di mettere in campo alternative utili per un sistema globale più equilibrato e a vantaggio di tutti. Un’identità umana e cristiana autentica richiede una visione locale, anche se confrontata con la visione internazionale: mondo, patria, famiglia, nel senso scritto nella nostra Costituzione, che sono dimensioni imprescindibili della persona-comunità in una stagione di spaesamento identitario e spiaggiamento economico. Quindi si esige una costanza che aiuti a coltivare una spontanea e abituale semplicità di modi nei rapporti con persone di grado o di condizione sociale diverse (oggi assente dal dibattito politico italiano); è necessario affermare l’imprescindibile salvataggio delle vite, connesse all’accoglienza migratoria con la capacità di integrazione e riaprire il libro della cooperazione internazionale per garantire il diritto a non emigrare; bisogna perseguire l’ecologia integrale senza elitismo, attenta a compensare l’impatto sociale della conversione ecologica; diventa necessaria l’attenzione alla dimensione umana nel cammino dei diritti civili contro la maternità surrogate e il disconoscimento sessuale dell’umano. Si tratta di grosse sfide culturali richieste dal Vangelo che devono impegnarci di fronte alla classe dirigente, provocando come credenti un conflitto costruttivo nel paradigma internazionalista e umanista. Si tratta di ritrovare la connessione dei sentimenti con le periferie sociali, per rispondere alle loro domande di protezione economica e identitaria e meritarne la rappresentanza.