San Lorenzo Maggiore

Oltre due anni e mezzo in attesa di una risposta. Non è ancora arrivata. Tante le piste battute, l’ultima portava in Romania. Ma anche questa, per ciò che se ne sa, non ha prodotto i risultati sperati. Infittendo ancor di più il mistero che circonda la fine di Lorenzo Fasulo, 58 anni, di San Lorenzo Maggiore, che il 17 dicembre del 2012 era stato trovato senza vita nella sua abitazione alla contrada Santa Croce. Centrato da tre proiettili calibro 38 special che non gli avevano dato scampo. Un omicidio irrisolto. Uno di quei casi custoditi nel buio degli archivi, in attesa di essere illuminato da una svolta investigativa che ne ricostruisca i contorni. Che spieghi il movente ed offra nomi e cognomi. Nulla di tutto ciò, purtroppo. Almeno fino a questo momento. Un giallo che resta senza soluzione, connotato da una selva di elementi ancora confinati nel limbo del sospetto.

Lorenzo Fasulo era un personaggio già noto alle forze dell’ordine. Il suo nome, e quello di altre due persone, era rimbalzato all’onore delle cronache nel marzo del 1977. Per una rapina ad una banca a Fragneto Monforte. L’assalto all’istituto di credito era andato a vuoto: secondo i resoconti dell’epoca, ne era nato un rocambolesco inseguimento che si era concluso tra contrada Olivola, alle porte di Benevento, e la periferia di Paupisi. Un inseguimento nel corso del quale erano stati presi in ostaggio un agricoltore e le due figliolette.

Una storia vecchia trentacinque anni, che si era messo definitivamente alle spalle. Conduceva un’esistenza all’insegna di una notevole riservatezza. Non era sposato, lo si vedeva raramente in giro per il paese, non prendeva parte a manifestazioni ed iniziative in programma. Coltivava gli affetti familiari e basta, oltre ad alcuni rapporti, di conoscenza e lavoro, che aveva stretto anche al di fuori dei confini provinciali. Qualche anno fa era stato titolare di un’enoteca a Campobasso che aveva poi venduto, era socio in un’azienda agricola in Romania. Un investimento che non sembra si fosse rivelato particolarmente vantaggioso.

Era stato un nipote, Francesco, la mattina del 17 dicembre - un lunedì- , a scoprire ciò che era successo. Intorno alle 11 aveva raggiunto la casa del parente perchè doveva riempire alcune damigiane di vino. Non avendo trovato lo zio, l’aveva chiamato più volte. Vanamente. A quel punto, avendo notato la porta aperta, era entrato. Il cadavere era nei pressi dell’ingresso. Lui si era chinato e l’aveva toccato, nella speranza di prestargli soccorso, di aiutarlo. Non c’era però più nulla da fare, e già da ore. Inutile qualsiasi soccorso.

L’ipotesi più accreditata dai caarabinieri è che il 58enne conoscesse il suo assassino, che avrebbe sparato prima all’esterno della casa, dove erano presenti alcune tracce di sangue. Lui avrebbe cercato di rifugiarsi all’interno, i proiettili l’avevano bersagliato al viso, al collo ed al torace.

Quattro le persone (tre sannite, l’altra della provincia di Caserta) che all’epoca erano state ‘avvisate’ per consentire loro la nomina di un consulente in vista dell’autopsia. Un esame che il sostituto procuratore Giovanni Tartaglia Polcini aveva affidato al professore Fernando Panarese, che l’aveva eseguito in due fasi: una prima «virtuale», che aveva permesso di ricostruire in 3D, con la Tac spirale, il percorso dei proiettili, immediatamente a disposizione degli inquirenti; l’altra, tradizionale, che aveva offerto le indicazioni sull’epoca della morte: la sera del 16 dicembre di oltre due anni e mezzo fa.

Enzo Spiezia