Napoli

Il web - la grande "ragnatela" informatica in cui navighiamo o annaspiamo ogni giorno - è quel luogo in(de)finito dove tutti virtualmente si incontrano, o possono farlo, senza ricavare tuttavia da questa esperienza nulla che non potessero ragionevolmente (e con più parsimonia) ottenere da soli. Ebbene, questo vuoto cosmico, dove tutto accade a velocità supersonica senza che resti traccia se non per lo più peggiorativa nell'animo umano, pullula di ossessioni a buon mercato, dei veri e propri tormentoni, dai più scabrosi ai più "leciti". Tra questi ultimi si fa particolarmente apprezzare per la sua puntuale continuità - una notizia o un'immagine ogni frazione di secondo - il cibo, nelle sue innumerevoli metamorfosi, dalle ricette di cucina per tutti i gusti e tutte le tasche, alle famigerate foto condite o meno di pareri e recensioni (ma questa è già una vecchia e malinconica storia), alle classifiche incessanti di pizzerie - negli ultimi tempi sono loro ad aver conquistato l'attenzione mondiale - con il migliore di sempre a giocarsela con il numero uno del giorno da Napoli a Kathmandu, fino ad arrivare all'ultimo nato dell'esibizionismo mediatico, la foto del conto del pasto consumato. È tutto un pullulare di istantanee di scontrini per rappresentare urbi et orbi ora il compiacimento per un buon rapporto qualità-prezzo (ammesso che ci si accordi sul termine qualità) ora lo stupore scandalizzato per una spesa "esagerata", manco se qualcuno ancora non sappia leggere un menù o non lo capisca. Fanno eccezione i casi estremi, come quello asiatico, dove tre avventori giapponesi di un ristorante di Singapore si sono visti consegnare un documento fiscale dal valore di poco inferiore a uno stipendio del loro paese a fronte della consumazione di un "misero" granchio del peso (però) di un tacchino.

Insomma il cibo è l'argomento planetario del giorno, fatta ovviamente eccezione per quelle aree del globo terrestre dove i bambini continuano a morire regolarmente di fame. Tutti ne parlano, e con dovizia di particolari per di più, a causa della ben nota presunzione di sapere ogni cosa, perfino disquisendo delle proprietà organolettiche e nutrizionali, di quello che ingurgitano. E lo fotografano pure (oh sì se lo fotografano), manco temessero di non averlo mangiato davvero o volessero condividere con appena il mondo intero la loro sublime (ovvero insoddisfacente) esperienza. Tutti sanno tutto sulla preparazione delle ricette, da quelle delle nonne, proprie e altrui, a quelle molecolari e cibernetiche. Quel piatto che conoscevamo in un certo modo - oh meravigliosi ricordi! - si è ora trasformato in qualcos'altro, col "segreto" di turno pronto a valorizzarlo come proprio non ce lo aspettavamo, salvo renderlo a conti fatti immangiabile o disgustoso. Per non parlare delle preparazioni ultrafast. Là i consigli si sprecano. "Fai così e tu e i tuoi ospiti" - ammesso che sia fortunato ad averne - "mangerete in cinque minuti".

C'è in giro per il pianeta un affaccendamento culinario che è diventato più di un lavoro. Vedrete che prima o poi qualcuno per tutto ciò chiederà la pensione. Ovvio che la diretta conseguenza di tanta laboriosità salivare è fantasticare di diventare uno chef irresistibile, partecipare a qualche programma televisivo di talenti in erba, aprire 4-5 ristoranti nel mondo conosciuto e darsi di tu (udite udite) con Carlo Cracco e Antonino Cannavacciuolo. E tutto questo mentre una persona su tre oramai ordina cibo da asporto a casa, che puntualmente fotografa, come il più accanito dei simulatori. E tutto questo (ancora) mentre i disturbi del comportamento alimentare, dall'anoressia alla bulimia passando per il binge eating disorder (il mangiare compulsivo), dilagano nei paesi industrializzati come mai prima, soprattutto dopo la covid-19.

Tra danni psichici e organici queste malattie hanno cominciato a mietere sempre più vittime, addirittura nel cono d'ombra dell'adolescenza e, perfino, più di recente, in quello ancora più inaccetabile dell'infanzia. Sì avete capito bene, si parla di morti, risultando oramai la seconda causa di decesso in quella fascia di età dopo gli incidenti stradali. Eggià, perchè mentre noi adulti scimmiottiamo questo o quel cultore della materia per professione e inondiamo il web - sempre lui - di foto appetitose di piatti gourmet o contadini, i nostri figli (anche quelli piccolissimi) si interrogano sul loro rapporto con il mondo, paragonandolo sempre più a una pietanza da divorare o a cui soccombere. Così anche loro simulano una naturalezza che invece lamentano, un filo conduttore generazionale e intimista che con la rovinosa complicità di noi adulti hanno da tempo spezzato, e tra una rappresentazione di sensualità adolescenziale e una pantomima di felicità alimentare capitolano sempre più verso l'isolamento o lo stallo. Che ciò accada con magrezze patologiche o con il suo contrario - oramai quasi una persona su due dai mitici States alla nostra bella Italia sono sovrappeso od obese e si ammalano e muoiono prima a causa di ciò - il risultato non cambia.

A fronte di tanto cibo, parlato o solo evocato, che il "mondo invisibile" ci propina e alla dilagante solitudine che quel cibo arreca a grandi e piccoli, noi (i grandi) imperterriti continuiamo a riempire le nostre agende di appuntamenti per mangiare, assaggiare e degustare, senza sapere, o facendo finta di ignorare, che il cibo è sì la pietra fondante dell'essere umano, la terapia che assumiamo ogni giorno per guarire o morire, ma è anche, e forse soprattutto, una condivisione di tempi e di spazi vitali, una delle opportunità più nobili di dialogo tra tutti gli attori della nostra vita personale, che riempie lo stomaco o lo svuota a seconda che abbia prima soddisfatto o meno il cuore.

Solo nel primo caso possiamo ragionevolmente pensare che verrà meno quella fame, concupita od odiata che sia, che il web di certo non può né potrà mai lenire. Anzi.