E' stato bloccato in auto e arrestato prima che prendesse servizio nel carcere di Avellino dove lavora come medico presso la struttura sanitaria della casa circondariale: il 35enne professionista, originario di Marcianise, in provincia di Caserta, è accusato di portare ai detenuti hashish e telefonini. Su di lui la Squadra Mobile di Avellino indagava da qualche mese. Nella borsa del medico sono stati trovati, all'interno di due confezioni di sigari sigillati, due panetti di hashish per oltre 120 grammi e quattro mini-telefoni cellulari con i rispettivi cavi di alimentazione destinati presumibilmente ai detenuti. Il Gip del Tribunale di Avellino ha convalidato l'arresto e disposto il trasferimento del medico ai domiciliari.
"L'arresto del medico in servizio presso l’istituto penitenziario di Avellino, trovato in possesso di droga, rappresenta un nuovo caso, inedito e grave, sulla diffusione di stupefacenti nelle carceri. Purtroppo, ai pusher abituali, familiari, mogli-compagne di detenuti, all’arrivo attraverso droni, dobbiamo aggiungere anche un medico”.
È quanto sostiene il segretario generale del sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo che aggiunge: "Il carcere di Avellino si conferma piazza di spaccio. Come denunciamo da tempo nei penitenziari siamo ad almeno 5 kg la settimana di consumo di stupefacenti con un giro di affari di una decina di milioni d’euro l’anno”.
Di Giacomo rilancia l’allarme: “Nelle carceri si ripete la situazione dei grandi centri di spaccio delle metropoli del Nord e della città campane dove la camorra e la grande criminalità organizzata gestisce i traffici più consistenti di droga del Paese. Sono gli uomini dei clan, che si servono di telefonini per il più comodo spaccio di droga dentro e fuori il carcere e per ordini agli uomini sui territori, a gestire i traffici". "Ovviamente – continua il segretario del S.PP. – questo avviene perché la domanda di stupefacenti è sempre maggiore: la presenza di detenuti classificati tossicodipendenti già all’ingresso in tutta Italia è di circa 18mila (poco meno del 30% del totale) per i quali il cosiddetto “programma a scalare” con la somministrazione di metadone ha dato risultati molto scarsi. Non a caso la recidività di reato per questi detenuti, una volta fuori, è altissima. A questi si deve aggiungere che tre detenuti su 10 sono solo spacciatori e non consumatori”.