“Non è stata fornita la prova, anche a livello indiziario, che quella fatidica sera – tra le 21 e le 24- i due imputati erano insieme alla povera Maria e che la lasciarono da sola nei pressi della piscina pur essendo costei incapace di nuotare e di provvedere a se stessa”.
E' uno dei passaggi delle motivazioni, redatte dal presidente Sergio Pezza, della sentenza con la quale la Corte di assise (a latere il giudice Francesca Telaro più la giuria popolare) ha assolto, perchè il fatto non sussiste, Daniel Ciocan, 28 anni, e la sorella Maria Cristina, 37 anni, difesi dall'avvocato Salvatore Verrillo. Si tratta dei due fratelli romeni accusati di aver abbandonato Maria, la bimba di 9 anni che il 19 giugno del 2016 era stata rinvenuta senza vita, annegata, nella piscina di un casale a San Salvatore Telesino.
Secondo gli inquirenti, la sera della tragedia la piccola era a bordo della Polo con la quale Daniel era andato a prendere la sorella a Telese. Loro l'avrebbero condotta prima all'esterno del resort, poi nell'area della piscina; quindi sarebbero andati via e l'avrebbero lasciata lì, senza preoccuparsi del fatto che la bimba non sapesse nuotare e che avesse timore dell'acqua, nella quale si sarebbe immersa, perdendo la vita.
“Non vi è alcuna prova – si legge – che Maria – in orario successivo alle 20, dopo aver cenato con la famiglia ed essere uscita per recarsi in chiesa -abbia più incontrato Daniel e Maria Cristina. Anzi, le prove raccolte sono tutte di segno opposto.... Il fatto che Maria avesse trascorso il pomeriggio con Daniel non autorizza affatto a ricavarne la certezza che lo abbia rivisto dopo le 20”.
Il dottore Pezza passa in rassegna “gli elementi dai quali potersi ricavare la presenza degli imputati in piscina”. Il primo è la posizione dove era parcheggiata l'auto: “Dedurre dalla posizione della vettura di Daniel la ragionevole certezza della sua presenza con Maria nei pressi della piscina sarebbe operazione arbitraria”. E comunque, “anche immaginando la prova delle presenza nei pressi della piscina degli imputati assieme alla povera bimba, resterebbe ancora da provare che l'abbiamo lasciata lì sola, in asenza di altre persone che potessero prendersene cura”.
Attenzione puntata, poi, sulle tracce olfattive rilevate dai cani molecolari intervenuti 22 giorni dopo il fatto (“Accertamenti del tutto privi di rigore scientifico”) e sulle tracce di acque presenti sui pantaloni di Daniel, rispetto alle quali, “pur volendo dare per certo che si tratti di acqua della piscina del resort, resterebbe ancora da accertare il momento nel quale Daniel si è bagnato i pantaloni”.
L'ultima parte la Corte la riserva al padre di Maria, la cui “posizione desta più di una perplessità. Egli si metteva alla disperata ricerca della figlia circa 30 minuti dopo che ella era uscita di casa, così come si ricava alla deposizione di una teste che aveva indicato al papà, che era in bici, la direzione presa dalla bimba pochi minuti prima, ma egli però non trovava”.
Secondo i giudici, “non si comprende perchè il padre si preoccupava di rintracciare la figlia dopo averle dato il permesso di uscire, né perchè non abbia fatto cenno alle indicazioni ricevute dalla persona incontrata”. Viene anche sottolineata un'altra deposizione secondo la quale “Maria qvrebbe subito violenza la sera prima della sua tragica morte, quindi è ragionevole ipotizzare che il pomeriggio del 19 giugno ella, sconvolta, abbia cercato compagnia e conforto da Daniel”.
Elementi che “vanno valutati alla luce della conversazione, intercettata, tra i genitori della bimba il 21 giugno del 2016 nella caserma dei carabinieri”.