Avellino

“Ciao Amleto, ora fai sorridere l’altra parte del cielo Mi raccomando battili tutti” è solo uno dei tanti messaggi di cordoglio che in queste ore appaiono sui social per ricordare il professor Amleto Tino, persona conosciuta e amata nella città di Avellino che oggi piange la sua scomparsa.

Tino è morto all'età di 75 anni, lascia la moglie Anna Giardullo, i figli Daniele e Francesca, il genero Antonio Vecchione, la nuora Denise Di Matteo, l’adorata nipote Tea, i fratelli Michele e Francesco, i cognati, le cognate, i nipoti, i cugini e parenti tutti.

Da sempre memoria storica e punto di riferimento per la Parrochia di San Ciro, per molti anni ha partecipato attivamente al dibattito pubblico e politico.

Lo ricorda commosso in un lungo post il deputato Gianfranco Rotondi.

“Apprendo una notizia che raggela, come tutte quelle che rinviano ai ricordi e ai sentimenti della giovinezza: é morto Amleto Tino.Ai giovani questo nome non dirà molto. Aveva settantacinque anni, un’età nella quale la morte é ancora un incidente, e non la regola. Ma era lontano da molti anni dalla vita pubblica, che aveva frequentato da protagonista nei decenni di gloria della Democrazia Cristiana.

Amleto era il primo degli amici che mi sostennero negli esordi politici, e nella battaglia spericolata contro i poteri forti della Democrazia Cristiana irpina,la più forte d’Italia, nella quale Amleto si era accomodato nella scomoda tribuna di minoranza.

Amleto Tino nasceva alla politica da quell’impareggiabile laboratorio che era la comunità di San Ciro, una parrocchia avellinese di frontiera che don Michele Grella teneva sospesa tra le aperture alla contestazione del ´68, e l’ortodossia democristiana a cui il reverendo riconduceva le intelligenze più vispe. E tra queste Amleto Tino era la mente più ospitale e spumeggiante.

Don Michele Grella impose Amleto alla corte di De Mita,che era il re Sole della Democrazia Cristiana. Amleto divenne subito il consigliere,il delfino,il numero due, ricevendo da De Mita una considerazione che suscitava gelosia e sospetto persino nei parlamentari. Ciriaco De Mita propose Amleto quale segretario provinciale ,carica che nella prima repubblica valeva più del parlamento. Ma Amleto disse di no, perché non accettava una nomina, voleva una elezione congressuale. Questa impuntatura segnò la rottura con De Mita, che era di modi spicci con quelli che discutevano le sue decisioni.

Con l’esperienza di oggi, direi che aveva ragione De Mita, quella di Amleto era una impuntatura. Ma c’era tutto il personaggio in quel ‘no’ : oggi i partiti sono tutti più o meno personali, farebbe ridere uno che rifiutasse una nomina,unico accesso oggi possibile alla vita di partito. Ma allora il senso comune era un altro, e Amleto lo interpretò con intransigenza e coerenza, sostenendo da quel momento le minoranze interne, quella di Gerardo Bianco, e poi la mia, che in qualche modo inventò lui.

Rimase al mio fianco anche nelle scelte che non condivise fino in fondo, come l’adesione al centrodestra con Buttiglione e Berlusconi. Alle elezioni del 1996 le strade si separarono, senza polemica nè rancore: riprese a camminare nel sentiero di una sinistra più romantica che politica, come l’aveva sognata tra gli stornelli di chitarra dei collettivi sessantottini a San Ciro.

Non aderì più ad alcun partito, non assunse mai posizioni pubbliche. L’ho rivisto qualche volta, per caso, i dissensi politici evaporavano quando gli sguardi amichevoli tornavano ad incrociarsi.

L’ultima volta mi disse , con sottile e ascoltato rimprovero :’nel tuo sguardo qualcosa é cambiato, é meno vivo di un tempo ’. Per un filo di dispetto non gli dissi che invece il suo sguardo era quello di sempre, vivo e palpitante di passioni e ideali che non ha mai piegato a nessun compromesso.