Avellino

“I dati sul panorama imprenditoriale irpino continuano a destare notevole preoccupazione, rassegnando un alto tasso di cessazioni di attività, determinato dalle difficoltà che gli operatori sono costretti ad affrontare, in un quadro generale di grande incertezza”.

Ad affermarlo è Giuseppe Marinelli, presidente provinciale di Confesercenti Avellino.

“Dall'analisi delle statistiche su natalità e mortalità delle imprese - prosegue il dirigente dell'associazione di categoria -, nel secondo trimestre del 2023, condotta da Infocamere, per conto di Unioncamere, emerge che la tendenza alla chiusura delle attività resta molto alta ed in progressiva ascesa dal 2020, nonostante il recupero registrato rispetto al primo trimestre dell'anno.

Tra aprile e giugno in provincia di Avellino hanno chiuso i battenti 336 imprese di vario tipo, che vanno ad aggiungersi alle 816 cessazioni tra gennaio e marzo, con una prospettiva per fine anno più nera del previsto.

A rendere più pesante il bilancio complessivo è il ridotto numero di iscrizioni nel Registro, pari a 515 unità,
comunque in aumento rispetto al periodo gennaio-marzo, facendo segnare un saldo positivo di soltanto 179 realtà produttive. Anche la parabola discendente delle nuove iscrizioni prosegue dal 2020, con un piccolo e temporaneo rialzo segnato nel 2021, ma ha origine prima ancora dell'emergenza Covid e precisamente nel 2018.

Al momento, quindi, le imprese iscritte nel Registro sono 42.928, delle quali 36.983 effettivamente attive.

La tendenza statistica che emerge in Irpinia è in linea con il resto del Paese, ed in particolare con il Mezzogiorno d'Italia, condizionata dalla profonda crisi in atto, rispetto alla quale però si distinguono un maggiore o minore impatto sui territori e una diversa capacità reattiva, legata soprattutto a ragioni strutturali. In Irpinia, dunque, in un panorama generale complesso, i numeri dell'anagrafe delle imprese, che chiaramente contraddistingue il livello di vitalità dell'economia locale, risultano particolarmente
negativi.

Non tutti i settori però rispondono allo stesso modo. Le attività professionali, i servizi alle imprese e il turismo appaiono più dinamiche, anche se quest'ultime non riescono ancora a recperare il divario rispetto agli anni precedenti. Più in affanno i piccoli negozi di vicinato di abbigliamento e alimentari”.

“Anche i dati Movimprese – conclude Marinelli – ci dicono che una via d'uscita dalla crisi è ancora lontana e gli effetti combinati di inflazione, costi di gestione moltiplicati, aumento dei tassi di credito, insieme al ridotto livello dei consumi provocato dal caroprezzi e dal delicato orizzonte sociale, rischiano di far pesare ancora molto i propri effetti, in assenza di una strategia generale, su più livelli, per migliorare le condizioni di vita delle famiglie e ridurre il carico delle imprese, unitamente ad una programmazione di sviluppo territoriale e dell'intero sistema-Italia che possa creare prospettive a medio e lungo termine. Occorre pertanto un impegno totale delle istituzioni pubbliche e di tutti gli attori sociali ed economici”.