Napoli

Ho osservato in religioso silenzio lo svolgimento dei fatti inerenti alla nomina di Luciano Spalletti a commissario tecnico dell'Italia. Ammetto che se il mentre mi aveva lasciato perplesso, il dunque invece proprio esterrefatto. Partiamo dall'inizio. Chi scrive questo pezzo credo sia stato uno dei pochi che ha creduto nel tecnico di Certaldo al Napoli quando tutti o quasi ne parlavano male. La cosa che più mi aveva convinto di lui dal primo momento è aver capito che senza cuore non si sarebbe andati da nessuna parte. Altrove sì, ma non a Napoli. Qui fare il calciatore è una fede, buona o cattiva, angelo o diavolo dipende da chi la esercita, con quale spirito e con quale dedizione. Lui ha lavorato su questo prima che sui risultati. E la cosa gli è riuscita perfettamente, con i nuovi arrivati ancor prima che con la vecchia guardia. Sono stati loro - al di là degli indubbi meriti tecnici - la chiave di volta, oserei dire morale, del bellissimo gioco, della straordinaria cavalcata, della forse irripetibile vittoria. Ecco quella è stata la magia apportata a un gruppo che aveva da sempre le doti per vincere, ma non le realizzava proprio perché gli mancava quella spinta emotiva che ti dà solo l'autostima, la pugna e il sogno (se popolare poi è perfetto). Un po' come la polvere magica della fatina di cenerentola che trasforma una sguattera in un principessa prima e una regina poi non mutando nessuno dei caratteri fisici e psichici di quella meravigliosa creatura, ma impedendo solo agli altri di riconoscerla nella veste regale. Se ci pensate bene è quello che ha fatto Spalletti col Napoli, lo ha reso irresistibile senza cambiarlo, mutando così solo l'idea (non vincente) che il mondo (calciatori compresi) si era fatto di lui. Troppo giovane e troppo diverso perché durasse o troppo bello per essere ostacolato, fate voi. In nazionale sono certo che saprà fare altrettanto.

Due cose però non accetto. La prima è la pavidità che gli ha impedito di ammettere pubblicamente che se ne andava perché non credeva più nel progetto (senza Giuntoli) e perché aveva nei confronti di Aurelio De Laurentiis un astio personale, quasi caratteriale.

La seconda è non aver tenuto fede alla parola data, che conta molto di più di una firma su un accordo extracontrattuale. Poi che quella postilla sia legittima (qualcuno ha perfino usato il termine costituzionale) oppure no trovo solo ridicolo prenderlo in esame. E chi ha seguito la strada (sbagliata) da lui intrapresa fino ad assumerlo si è connotato alla pari o peggio di lui.