Napoli

La Gazzetta di Harvard ha titolato così un articolo che riassumeva caratteristiche e conclusioni di una ricerca per certi versi "straordinaria e irripetibile" condotta proprio nella capitale del Massachusetts e tradotta in un libro, "The Good Life: Lessons From the World's Longest Scientific Study of Happiness" uscito in libreria a gennaio di quest'anno. Ne ho già accennato la settimana scorsa, ma oro entriamo nel dettaglio. L'opera contiene una infinità di grandi e piccole informazioni che messe insieme possono rappresentare una vera guida al vivere bene e a lungo. La frase di Mark Twain che è stata scelta per dare inizio alla rivoluzionaria pubblicazione è emblematica delle sue più rilevanti (e per certi versi sorprendenti) conclusioni: "Non c'è tempo, tanto breve è la vita, per battibecchi, scuse, bruciori di stomaco, chiamate a rendere conto. C'è solo tempo per amare, e solo un istante, per così dire, per quello." Siamo tutti indaffarati, giovani e vecchi, spesso fatuamente, eppure tutti alla costante ricerca della felicità, la chimera per ogni aspirazione, la scusa per ogni omissione.

Lo sappiamo bene, ma quello che non sapevamo - e che lo studio statunitense ora ci ha insegnato - è che questo stato d'animo conta per la nostra salute più di quanto immaginassimo e il suo effetto benefico pesa per tutto lo scorrere della nostra esistenza, dal suo sorgere alla sua conclusione, chiedendo il conto però (per fortuna, direi, quasi sempre) solo negli anni della maturità e della senescenza.

Ma come la raggiungiamo questa felicità? Quali sono le sue maggiori determinanti?

L'Harvard Study of Adult Development - così si chiama l'indagine durata quasi un secolo i cui risultati, finalmente oggettivi e validati, sono stati riassunti nel libro di cui dicevo - potrebbe essere davvero il lavoro scientifico più completo mai condotto sulla felicità, poiché ha seguito i suoi partecipanti per tutta la loro vita adulta. Tutto è cominciato nel 1938, da una piccola coorte di 268 studenti maschi del secondo anno dell'Università di Harvard seguiti per tutta la loro vita e per altre due generazioni dopo di loro. Il sesso maschile non era una discriminante volontaria nella selezione del campione bensì obbligatoria, in quanto a quel tempo era ancora negato l'accesso alle donne nella prestigiosa università statunitense. Il gruppo studiato, arricchito anche del sesso femminile, si è via via allargato nel corso degli anni fino ad arrivare a più di 2000 persone seguite dalla nascita fino alla morte. Tutto è stato incluso nell'analisi statistica, nulla è stato lasciato al caso, dalle caratteristiche antropometriche, alla genetica, alle cartelle cliniche, alle abitudini di vita, alle votazioni scolastiche, alle scelte lavorative, ai profili psicologici, alle posizioni sociali e alle gratificazioni affettive.

Ma cosa ci ha detto di così innovativo e sorprendente l'indagine di Boston. Innanzitutto che amare ed essere amati, dal partner, dai figli e dai parenti in genere, dagli amici e, perfino, dai conoscenti è il fondamento di ogni forma di buona e duratura salute. Senza è inutile anche mettere in tavola un'aspettativa di vita minimamente soddisfacente. Da questi scambi di stima, affetto, fiducia, sostegno, tenerezza, confronto e complicità nascerebbe ogni vera forma di resilienza: il sistema immunitario si rafforzerebbe, quello nervoso si identificherebbe, quello psichico si armonizzerebbe e quello cardiovascolare si proteggerebbe. La genetica, così approfondita e considerata nelle prime fasi dello studio, come del resto il quoziente intellettivo, avrebbero un loro effetto sugli indici di salute, ma alla fine non conterebbero più di tanto. Un sorriso varrebbe più di una "pillola salvavita" o di un "comportamento virtuoso".

Cosi la solitudine ucciderebbe di più delle malattie perniciose ovvero ne sarebbe il principale (e spesso misconosciuto) determinante. Almeno quanto l'alcol e la depressione. Ma non basterebbe. Abbiamo bisogno d'amore per vivere bene. Anche aver cura di sé stessi conterebbe, eccome, ma non quanto la felicità, la gioia di vivere e l'allegria (date dall'amore). La realizzazione sociale, il benessere economico e la fama aggiungerebbero pure qualcosa al benessere di un individuo, ma più perché gli consentirebbe di accedere con maggior facilità e più ampia libertà a un consono stile di vita e a un attento monitoraggio delle sue condizioni cliniche che per un effetto diretto sui suoi equilibri psico-fisici a medio e lungo termine. Il grado di soddisfazione personale a 50 anni era un predittore di salute a 80 anni più del valore di colesterolo nel sangue. I bambini felici saranno con maggior probabilità adulti sani, anche se fino alla (pare) fatidica età di 50 anni nulla sarebbe ancora perduto e a tutti sarebbe concessa un'altra possibilità. Robert Waldinger, l'ultimo dei quattro direttori dello studio bostoniano che si sono succeduti nei suoi più di 80 anni di storia, psichiatra al Massachusetts General Hospital e professore di psichiatria alla Harvard Medical School, raccomanda di "valutare come promuovere, rafforzare e ampliare le relazioni". Lo chiama - "mantenere le connessioni sociali" e, proprio come per la forma fisica, richiede anche "una pratica costante".

"Le amicizie e le relazioni richiedono un impegno regolare per evitare che svaniscano. Una semplice telefonata può aiutare. Partecipare ad attività che portano gioia e incoraggiano il cameratismo, come sport, hobby e volontariato, può ampliare la rete di relazioni", ha dichiarato l'autore del libro.

"Le abilità sociali contribuiscono alla resilienza" - ha concluso Waldinger - "non è mai troppo tardi per una svolta e per le persone cambiare la propria vita attraverso nuove relazioni ed esperienze". Non solo. La soddisfazione coniugale avrebbe un effetto protettivo sulla salute mentale delle persone. Parte di un altro studio ha rilevato che le persone che avevano avuto matrimoni felici negli anni '80 riferivano che il loro umore non ne risentiva nemmeno nei giorni in cui avevano più dolore fisico. Al contrario, coloro che avevano avuto matrimoni infelici provavano più dolore emotivo e fisico. Inoltre, coloro che avevano mantenuto rapporti affettuosi in tutti i loro ambiti relazionali vivevano più a lungo e più felici. Insomma, le aggregazioni umane e gli affetti profondi sarebbero il sale della vita, senza siamo più esposti a malattie reumatiche e metaboliche, infarti, ictus e tumori. E quel che è peggio invecchiamo prima e male. Dai visceri alla pelle.

Provate a verificare la bontà di questa scoperta su di voi e tra parenti e amici. State di più insieme, non per convenzione o convenienza, e amate di più chi vi è vicino quotidianamente, come chi incontrate saltuariamente o per caso. E non solo fisicamente. Perché come scrisse Victor Hugo: "Guai a chi avrà amato solo corpi, forme, apparenze. La morte gli toglierà tutto. Cercate di amare le anime. Le ritroverete.”

*Neurologo - responsabile sezione Sanità Confindustria Benevento