Napoli

C'è un pezzo della biografia di quelli come me che sono vissuti in un periodo storico, italiano e internazionale, di cambiamenti politici e sociali profondi e di rinnovamenti e speranze irripetibili, che appartiene a un ambito più riservato e intimista del nostro percorso formativo, umano e culturale.

Questo angolo segreto, eppure palpitante, delle nostre vite è stato quello della fumettistica, la nostra (talvolta sola) interfaccia di allora con la fantasia, il sogno e l'epopea in un mondo che ci appariva spesso fin troppo opprimente e moralistico, benchè fosse appena entrato in una vertiginosa e a noi ancora misconosciuta trasformazione. Tra regole bacchettone e censure ormai anacronistiche i ragazzi come me si rifugiavano volentieri nelle avventure dei racconti con le nuvolette di fumo parlanti - da cui il termine fumetti - per immaginare di essere altrove, ma anche per imparare a vivere meglio nel mondo reale.

Daniele Barbieri, il semiologo e saggista emiliano contemporaneo qualche anno fa ha scritto: "Il fumetto è oggi adulto, ma è un giovane adulto, capace ancora di entusiasmarsi e di sognare – e capace altresì di far riflettere, o di far ricordare. Ecco il ricordo, io ce l'ho ancora tutto qua, intatto, non ho perso nulla di quelle attese per il numero in uscita di questo o quel "giornalino" - il diminutivo era largamente usato e in tono per lo più dispregiativo - e per la continuazione delle tante storie che mi avevano lasciato per sette o trenta giorni, a seconda dei casi, col fiato sospeso. Lì dentro c'era tutto, l'ingenuità, la paura, la speranza, le emozioni, le nozioni, i codici di lettura e di rinnovamento, l'etica e la rivoluzione, l'intelligenza e l'intuizione. I libri erano la magia - se riuscivi a coglierla - ma come confinata in un mondo troppo rigido, vecchio ed erudito. I fumetti no, erano il presente, incalzante e libero, immagini e parole allo stesso tempo e per un solo scopo, svagarsi (o almeno così credevamo), purchè a passo di carica verso un futuro tutto da scoprire. Sembravano appassionarci senza insegnarci. Ma in realtà non era così. Avevano in loro stessi i semi del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto, dell'innocenza e della perfidia, dell'inchino e dello sberleffo. E più quei libercoli denigrati o ignorati dalla intellettualità dilagante ci connotavano anche agli occhi dei nostri genitori e dei nostri professori come disimpegnati o fatui più inducevano in noi il bisogno di difendere quel genere letterario - perchè di questo si trattava, noi lo sapevamo già - da interferenze e manipolazioni fuorvianti. Dai primi salvifici Topolino, sin dagli albori della mia vita di lettore, fino ad arrivare ai Magnifici Quattro o a Batman e Superman dell'età più matura, passando per Blek Macigno, Capitan Miki, Zagor e Tex, tutti mi hanno lasciato un qualcosa, e più duraturo e incisivo di quel che immaginavo. Perchè come dichiarò il fumettista genovese Giancarlo Berardi in una intervista del 2007, "il fumetto è davvero una fusione straordinaria, un piccolo miracolo di sintesi: rimanda al romanzo, al cinema, ma anche al documentario, alla fotografia, alla pittura." E tanta complessa e coniugata malia non è passata invano. Oggi lo so. Alcune delle mie battute sono di Paperino, qualche soluzione manageriale è di Paperone, qualche tenera scorciatoia del signor Bonaventura, qualche difesa dei deboli e degli emarginati di Tex Willer, qualche bagno di umiltà di Charlie Brown. Ecco, siamo arrivati alle strisce più belle di tutte, un balenante sunto di umanismo convertito in sorriso o in pensiero. Charles M. Schulz, il loro creatore, è stato il più grande scrittore di storie disegnate, forse paragonabile solo a Walt Disney. Un genio assoluto, in grado di "introdurre uno stile di narrazione più sottile e sofisticato che, rompendo gli schemi convenzionali dei fumetti dell'epoca, si è focalizzato sulle complesse dinamiche delle relazioni umane, esplorando temi come l'amicizia, la solitudine, la depressione e l'esistenzialismo". Un'operazione che definire rivoluzionaria è dir poco.

Schulz è stato, a mio giudizio, una delle dieci personalità più significative e influenti del novecento e ha raggiunto questo straordinario traguardo "solo" scrivendo un post al giorno, tutti i giorni, per 50 anni, che ha pubblicato senza soluzione di continuità su centinaia di quotidiani in ogni angolo della Terra. Ognuna di quelle strisce era una perla, ognuna era unica e irripetibile. Lo scopriamo ancora ora che le rileggiamo incantati e pensanti. La più bella? Quella in cui Chiarlie Brown, di fronte al mare (o al lago, non so), con Snoopy alla sua destra, gli dice: "Snoopy ci pensi che un giorno moriremo?" E Snoopy risponde: "Lo so Charlie, un giorno, ma tutti gli altri no." Credete che fosse solo un fumetto? Vi sbagliate di grosso. I Peanuts hanno cambiato il modo di pensare e di vivere (in tutto il mondo), forse addirittura più della minigonna, dei Beatles e di Einstein. Anche questo erano i fumetti. E ora che la loro lettura ha subito un declino tanto universale quanto inesorabile, passando dai milioni di vendite settimanali di 30 anni fa alle poche centinaia di migliaia annuali di oggi, il mondo è più arido e più muto. Mi chiedo quale strumento culturale assicurerà oggi con altrettanta leggerezza ai giovani e ai meno giovani quei valori di giustizia, coraggio, inclusione, solidarietà e amicizia che i fumetti ci hanno trasmesso, contribuendo (e non poco) a renderci persone migliori. Non lo faranno di certo le insulse immagini di Instagram, le volgari interpretazioni di Tik Tok o i "cinguettii" striduli di Twitter. Eppure è proprio lì che siamo finiti. Al 90° di una partita senza spettacolo né gol. Così, dicendola (ancora) con Snoopy, "la nostra sola speranza è che" - in qualche modo - "si vada ai tempi supplementari".