Napoli

È venuto il tempo di ricominciare. Tra quarantotto ore i calciatori del Napoli si ritroveranno al centro sportivo di Castel Volturno per iniziare una nuova avventura calcistica fatta di campionato e coppe, nazionali e internazionali, che durerà - questa volta senza interruzioni - all'incirca 11 mesi (per i più bravi o i più fortunati). Dopo tanta immensa gioia, anche adeguatamente mostrata al mondo, per uno scudetto stravinto con distanze siderali dalle dirette inseguitrici e tutti i tentativi, anche autolesionistici, per oscurare, sminuire o rovinare quello straordinario risultato, siamo giunti al momento dei nuovi abbracci e delle nuove pacche sulle spalle.

Sono certo che ci sarà un clima di festa, nonostante qualche  faccia nuova (che però peserà come poche) e qualche assenza (su tutte quelle di Luciano Spalletti, Cristiano Giuntoli e Kim Min-jae). Dell'allenatore Rudi Garcia è giunto il momento che io dica, ora, a bocce ferme, prima che poi mi faccia trascinare dalla corrente delle singole dichiarazioni o dei risultati di campo. Il mio primo impatto con lui - quello della sua presentazione al bosco di Capodimonte con relativa conferenza stampa congiunta col presidente Aurelio De Laurentiis - è stato (lo devo ammettere) interlocutorio. Non è mai bello fare paragoni con il predecessore di un allenatore, tanto più se il primo è stato, come in questo caso, così sfacciatamente vincente e amato come il tecnico di Certaldo. Eppure l'incipit di quest'ultimo - riascoltatelo! - fu decisamente più appassionato e identitario, toccando sin dai suoi primi passi i tasti dell'appartenenza e della passione, come nessuno mai prima di lui. Le scritte sulle pettorine con le parole magiche vergate dal tifo furono solo la logica conseguenza di quell'inizio. Lo confesso, se c'era una cosa che mi convinceva più di tutte di Luciano Spalletti erano le sue conferenze prepartita, sapevano di sinceri abbracci, solide unioni e durature solidarietà. Ma non essendo il tempo dei rimpianti è giusto dire quello che penso del presente. Delle prime parole di Garcia, se da un lato ho ammirato la signorilità e l'equilibrio, non mi è piaciuta la mancanza di "cruenta partecipazione affettiva" all'esperienza che andava a cominciare, né il fatto che non abbia mai citato i meriti del suo predecessore (per compiacenza nei confronti del patron?), svicolando peraltro anche sulla questione del modulo (in chiara difformità col patron). Per fortuna che fuori al museo i tifosi hanno scritto: "Benvenuto in vetta monsieur, difendiamola!". Almeno questo.