Riceviamo e pubblichiamo un intervento dell'avvocato Matteo De Longis.
Cara Stampa,
ti scrivo questa mia un po’ per colpa tua e questo tu lo sai.
Hai solleticato, sollecitato la mia intenzione quando, tramite qualificato appartenente alla razza canide dei guardiani della democrazia, hai inopinatamente insinuato il dubbio che valesse la pena esprimere pubblicamente la propria opinione su questo o quel fatto.
Hai poi, subdolamente ed assiduamente, indicato la direzione della divagazione raccontando episodi, protagonisti, cronache, storie.
Alcune cose che hai raccontato, ti confesso, hanno molto attirato la mia attenzione. E si, in astratto non nego di avere un pensiero articolato su alcune di esse.
Poi però – a tutela e per il sollievo di ogni ipotetico lettore - mi sono domandato perché mai alcuno dovrebbe essere interessato al mio pensiero, alle mie idee addirittura, alle mie opinioni.
E - per tua e mia fortuna -ti informo che non ho trovato alcun valido argomento a sostegno della tesi per cui ciò che penso dovrebbe avere pubblica evidenza.
Ma non disperare, cara Stampa. Ho avuto un’idea, meglio, un’ideazione.
Frequentando abitualmente le tue colonne, ho letto di una singolar tenzone prossima a venire.
Due stimabilissimi – e non a caso infatti stimatissimi - Colleghi contendono pugnaci il vertice della sede locale dell'associazione volontaria senza scopo di lucro dei penalisti italiani.
Si tratta di un’associazione privata, vero, ma con certo pubblico rilievo; chi ambisce a presiederla, anche soltanto a livello territoriale, sa che potrà – o dovrà, ma qui il discorso sarebbe lungo e noioso – esprimere la propria opinione sugli stessi argomenti che hanno incuriosito me.
Ho letto poi, tralasciando talune scaramucce procedurali, che i contendenti respingono ogni reciproca e sterile polemica, anelando invece ad un costruttivo e proficuo confronto sostanziale e programmatico.
Siamo onesti: le mie idee circa il ruolo in generale della vittima, della pubblica opinione e delle associazioni nella materia penale non interesserebbero a nessuno e, verosimilmente, non incontrerebbero il favore della maggioranza silenziosa – e lo so che tu col pubblico ci campi, mica penso solo a me.
L’opinione dei candidati presidenti della camera penale locale ed il loro – auto-auspicato, su questo almeno possiamo auto-assolverci – confronto su questi fatti e su questi argomenti avrebbe invece, rispetto al mio pensiero, sicuramente: a) maggiore autorevolezza; b) rilevanza pubblica; c) specifica utilità per i rispettivi potenziali elettori ma soprattutto per gli indecisi – e si sa che sono sempre quest’ultimi a fare la differenza.
Ed ecco, allora ? il lampo di genio ? l’inopportuna idiozia ? la cosa di cui ci pentiremo [lascio a Te la scelta].
Abbandoniamo l’insidioso j’accuse ed abbracciamo il più rassicurante e consono je demande.
Faccio alcuni esempi, alcuni tendenti al pittoresco, ma almeno così ci intendiamo.
Potremmo – o dovremmo, ma qui sarebbe quasi più lunga e complicata di prima – domandare loro cosa pensano del fatto che altra e diversa associazione privata abbia offerto una taglia di 20.000 euro a chiunque con la sua testimonianza contribuirà alla condanna definitiva dei lapidatori del gatto di Montesarchio.
Restando in ambito felino, con raffinato collegamento cronistico/tematico, potremmo – si, opto per questo modale perché non è che ogni volta posso fare una parentesi – chiedere loro un pensiero circa la passata manifestazione in cui altra associazione privata ha – solo figurativamente, per carità! – chiesto la testa del minorenne lanciatore del gatto di Montefusco sottolineando l’inopportunità e l’inadeguatezza di ogni pena diversa dalla privazione della libertà personale.
Astraendo il discorso dalla cronaca, potremmo chieder loro cosa pensano, più in generale, del rapporto tra vittima e giustizia penale; se pare troppo astratto, allora, se ritengano che la vittima abbia diritto alla condanna del colpevole o soltanto quello al risarcimento del danno.
Se, partecipando alle attività congressuali nazionali dell’associazione, supporterebbero iniziative legislative volte a potenziare ovvero a depotenziare il ruolo della parte civile nel processo penale.
In definitiva - e prima che ceda alla tentazione di citare Cristo e Marco Pannella in una proposizione esordiente con “Chi giudica chi?” - potremmo con le nostre provocazioni provocare il pensiero degli antagonisti sul confronto più antico del mondo: potendo scegliere, difendereste Caino o Abele?
Se suonasse troppo impegnativo, eccessivo, potremmo virare sul classico – credo sia periodo di maturità, magari aiutiamo involontariamente qualche giovane lettore – ed emulando una recente iniziativa dell’organo forense locale, promuovere una rappresentazione di un classico sofocleo e, poco prima dell’apertura del sipario domandargli, secco: “Antigone o Creonte?”.
È solo il sogno, a tratti il delirio, di una notte di quasi estate, questo lo so. E temo che, laddove non lo fosse, saremmo tacciati di manicheismo con affilate risposte bipartisan, termine orrifico che racchiude in sé l’ontologica antinomia dell’esser partigiano di entrambe le parti in conflitto.
Se lo facessimo davvero, saremmo costretti ad interminabili premesse circa la natura meramente culturale e giuridica del dibattito.
Saremmo obbligati ad affermare l’ovvio – cosa davvero detestabile – e cioè a precisare che le domande non sottendono alcuna intenzione di provocare contrapposizioni ideologiche tra vittime e colpevoli, ma soltanto ad esplorare con argomenti giuridici – ed auspicabilmente filosofici – temi di attualità che astratti dal caso concreto hanno rilevanza effettiva per il sistema di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo.
Sarebbe doveroso evidenziare come né io né tu facciamo parte dell’associazione contesa e che, di conseguenza, nemmeno abbiamo diritto di voto nella prossima sfida alle urne.
Saremmo tenuti, come minimo, a precisare ai destinatari indiretti del nostro imaginifico dialogo che si tratta di puro e semplice giuoco – per citare l’appena scomparso Pres. -, che non sono affatto tenuti a curarsi dei nostri discorsi e tantomeno a darvi seguito, scusandoci di averli resi involontari protagonisti della nostra sgangherata piéce.
Il tutto, poi, col rischio di scadere nell’indegna parodia dell’epilogo pronunciato da Puck in chiusura della commedia che ha ispirato il nostro divertissement.
No, cara Stampa, il cerchio si chiude, devo tornare alla premessa: mi convinco che non ne valga affatto la pena.
Che poi, se dovessimo problematizzare anche il concetto di pena, si salvi chi può.
Dedichiamoci a cose più basse – che, in quanto tali, meglio mi competono - e cessiamo lo sproloquio.
Prima di congedarci, tuttavia, sia concessa un’ultima frivola ma decisiva domanda: ma Voi, nei panni del gorilla, avreste scelto la vecchietta o il giovane giudice con la toga?