Napoli

Al Napoli neocampione d'Italia due cose erano di fatto accadute negli ultimi sette giorni! La pugnace, ma che dico pugnace, l'eroica Salernitana aveva pareggiato così straordinariamente al Maradona da meritare un'accoglienza trionfale in terra granata da parte di 5000 e più tifosi scatenati. Poi per cosa, per aver gloriosamente impattato in casa dei prossimi campioni - lo sarebbero stati solo 4 giorni dopo nella più benevola terra friulana - senza che ciò cambiasse di una virgola la loro situazione in classifica?

Ferma restando l'assoluta legittimità del risultato, non sarebbe stato meglio dire che, nonostante la conterraneità, la Salernitana aveva combattuto strenuamente e con coraggio facendo onore al gioco del calcio e allo sport in genere?

Che c'entrava quella noiosa, reiterata e anche un po' malinconica tiritera della rivalità tra mura che non sono proprio le stesse - distano comunque 54 chilometri - né (a quanto pare) amiche? Una brutta figura e basta, che porta solo discredito a questo paese, che comunque resta (ha ancora ragione il presidente De Laurentiis) sempre quello piccino e rognoso dei Comuni.

Per fortuna che era arrivata l'Udinese, lì almeno la rivalità aveva un senso, maleodorava un po' di razzismo, ma vivaddio, almeno non si ammantava di conflitti sociali e rivendicazioni da fratelli minori. E a Udine, nonostante uno degli arbitraggi peggiori della storia del calcio da parte di un altro (presunto) uomo del sud, si è conquistato il punto che ci occorreva per vincere finalmente quello scudetto atteso 33 anni. Ma alla Salernitana e ai suoi tifosi devo il mio sincero grazie. Non ci hanno permesso, infatti, di vincere il nostro terzo scudetto in un anonima sera di fine aprile, bensì in un giorno di maggio, precisamente il quarto del mese dedicato alla Madonna (anche questo non è un caso), in cui ricorreva quella tragedia di Superga che aveva privato l'Italia e il mondo intero di una delle più spumeggianti, forti e valorose squadre di calcio di tutti i tempi. Una leggenda strappata agli occhi e al domani dell'umanità, ma consegnata al suo immenso cuore per sempre.

Mi piace pensare che quel manipolo di "eroi in trasferta", come li definì Indro Montanelli, fossero sugli spalti della Dacia Arena a esultare per la vittoria di una delle compagini che più gli era stata simile per bel gioco, correttezza in campo e fuori e sana comunione d'intenti. Non mi resta che gridare: "Evviva il calcio, quello vero!"